sabato 31 luglio 2021
La Resistenza è una pagina importante della storia europea del secolo scorso. Si sviluppò in tutti i Paesi che, durante la seconda guerra mondiale, erano finiti sotto il tallone nazista, come movimento di opposizione e in appoggio delle truppe alleate. Dalla Polonia alla Grecia, dalla Francia all'Italia, dalla Cecoslovacchia ai Paesi Bassi, la Resistenza fu attiva in una ventina di nazioni europee, Germania compresa. Fu un fenomeno composto in massima parte da movimenti nati "dal basso", in modo del tutto spontaneo, senza un'organizzazione di vertice, almeno inizialmente, ma che a mano a mano riuscì a creare fondamentali interconnessioni transnazionali. Fu una componente essenziale per la sconfitta del nazismo, e come detto all'inizio, rappresenta un capitolo importante della storia europea: con qualche pagina oscura ma, fondamentalmente, una storia gloriosa.
La Resistenza, insomma, è una cosa seria. E aver visto che il termine è stato di recente scomodato dai soliti gruppuscoli che criticano qualunque cosa dica o faccia Papa Francesco, mi è sembrato un po' esagerato. Di più, del tutto fuori luogo. Nel mirino dei tradizionalisti c'è finito questa volta il Motu Proprio di Francesco Traditionis custodes, con il quale il Papa ha ulteriormente regolamentato l'uso della Messa in latino riformando in parte le precedenti disposizioni di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI (1988 e 2007), assegnando maggiori responsabilità ai vescovi diocesani. Un'offensiva scatenata, come al solito, sui social, e sempre come al solito senza un gran successo (basta andare su YouTube per rendersene conto), ma questa volta con l'uso di espressioni forti in gran numero, da «maligno ukaze» a «schiaffo ai suoi predecessori», e chiamando tutti, appunto, alla «resistenza» contro una decisione «che vuole cancellare la tradizione cattolica». Trattando, insomma, Francesco alla stregua di un crudele dittatore, che governa la Chiesa secondo il suo umore.
Le cose, ovviamente, non stanno così. E forse non varrebbe neppure la pena di occuparsi della cosa se non fosse per le mistificazioni che questi gruppi operano di continuo. Intanto, a proposito del Motu Proprio, non dicono che è stato preceduto da una consultazione di tutti i vescovi del mondo, ponendo loro nove domande sull'uso della Messa in latino nelle loro diocesi. E poi, soprattutto, nascondendo quanto scritto da Bergoglio nella lettera che ha accompagnato la pubblicazione del Motu Proprio. In cui ha spiegato che la «possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l'unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni... Al pari di Benedetto XVI, anch'io stigmatizzo che «in molti luoghi non si celebri in modo fedele alle prescrizioni del nuovo Messale, ma esso addirittura venga inteso come un'autorizzazione o perfino come un obbligo alla creatività...». Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l'affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la "vera Chiesa"». Sono queste le parole di un dittatore?
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI