giovedì 15 settembre 2011
Tutti amano i buoni, ma li sfruttano. Tutti detestano i cattivi, ma li temono e li ubbidiscono.

«I pensieri del grillo parlante»: era questo il titolo di una sezione del libro La vita è bella nonostante di un giornalista e scrittore molto apprezzato ai suoi tempi per la sua leggibilità e sincerità, Vittorio Buttafava (1918-1983). Lo incontrai per caso in una casa di amici e ricordo ancora la vivacità delle sue battute, capaci di addentare i vizi della società di quegli anni. Il suo era un moralismo spumeggiante, non aggressivo e intransigente, ma bonario e genuino. È il caso del passo che ho voluto proporre oggi da quella sezione del «grillo parlante», un vero e proprio aforisma sapienziale che non ha bisogno né di note in calce né di commenti applicativi tanto è limpido nella sua amara verità. Era ciò che già osservava Foscolo nelle Ultime Lettere di Jacopo Ortis, quando notava che «l'uomo dabbene in mezzo ai malvagi rovina sempre; e noi siamo soliti associarci al più forte, a calpestare chi giace, e a giudicare l'evento».
Nella frase di Buttafava vorrei mettere l'accento su un verbo applicato ai buoni, «sfruttare». C'è il detto proverbiale secondo il quale se dai una mano, ti prendono il braccio. È un'esperienza, ahimè, quotidiana che colpisce proprio i buoni, i generosi. Ci si imbatte spesso in una spudoratezza che rasenta l'indecenza e l'arroganza: ci sono persone che esigono senza nessun diritto o titolo e non danno tregua fino alla meta raggiunta. Vittime sono di solito proprio i buoni, i miti, i mansueti, i caritatevoli. La sfrontatezza degli uni abusa della magnanimità degli altri. E purtroppo bisogna riconoscere che di fronte all'improntitudine, alla faccia tosta quasi insolente ci si ritrova impotenti e deboli.
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