venerdì 9 dicembre 2005
Chiunque può riconoscere con se stesso di aver torto. La vera prova è riconoscerlo di fronte agli altri" Per imparare dai nostri errori, bisogna prima renderci conto che li stiamo commettendo.I libri s"intitolano sempre La legge di Murphy e variano solo per l"anno di uscita: da quello del 2000, dovuto sempre a quello strano autore di slogan che si denomina Arthur Bloch, abbiamo estratto due considerazioni sull"errore e sulla relativa consapevolezza di compierlo. Dobbiamo, infatti, tutti riconoscere di aver sempre faticato a riconoscere i nostri sbagli davanti a un altro: ci siamo riparati dietro a sofismi, ci siamo arrampicati sui vetri, siamo persino talvolta ricorsi allo sdegno pur di non ammettere ciò che dentro di noi bene sapevamo, cioè di avere semplicemente torto. Tutto questo nasce dall"orgoglio che è il peccato di base, tant"è vero che è alla radice del peccato d"origine, quello del voler "essere come Dio": non per nulla Adamo parte subito con un"autogiustificazione insensata, quando è sorpreso dal Signore nella sua colpa.  Ma c"è un"altra annotazione significativa. Per riconoscere un errore e forse anche riuscire a trasformarlo in esperienza di vita e in educazione, è necessario averne la consapevolezza. È, questo, uno dei drammi del nostro tempo, la superficialità che genera incoscienza. Non si avverte di fare del male per il semplice fatto che si vive senza riflettere, procedendo sempre a caso e banalmente. Quella frase «Che ho fatto di male?» - che lascia spesso disarmato l"interlocutore più avveduto - è quasi l"emblema di un"amoralità che attecchisce non da una coerenza sia pure perversa ma si nutre di vacuità, di irresponsabilità, di frivolezza.
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