martedì 21 novembre 2006
Tutti saprebbero fare un giornale se occorresse solo l'inchiostro tipografico. E invece ci vuole qualcos'altro. Non basta saper non pensare: per fare un giornale, bisogna anche saper esprimere l'assenza di pensiero. Bisogna essere sinceri: i giornalisti non hanno mai goduto di buona stampa (per usare un bisticcio). Si potrebbe, infatti, elencare una lunga fila di battute feroci contro di loro, a partire dalla definizione a essi riservata da un dizionario ironico americano: «Giornalista è colui che sa discernere il grano dalla pula e stampa solo la pula». Feroce con loro (ma non solo) fino all'eccesso, era quel terribile scrittore (e giornalista lui pure) austriaco che si chiamava Karl Kraus, autore dei Detti e contraddetti (1909), a cui abbiamo appunto attinto l'odierna citazione. Ma l'abbiamo fatto non per infierire sui giornalisti: sarebbe di cattivo gusto, scrivendo proprio su un giornale. Lo facciamo, invece, perché quella «qualità» sbeffeggiata da Kraus è equamente distribuita in tutte le categorie sociali, ossia «l'assenza di pensiero». Anzi, sovente è un vuoto mentale espresso in una lussureggiante ramificazione di parole vane e vacue. Subito si pensa ai politici, ma in realtà basta piazzarsi su un treno e ascoltare (obbligati!) il chiacchiericcio degli utenti dei cellulari per riconoscere che il vaniloquio, espressione di un cervello sgombro da qualsivoglia idea, è una trionfale dominante. «Lavorare a pensare bene: ecco il principio della morale», ammoniva Pascal. Importante è proprio quel verbo, «lavorare»: pensare non è un'ovvietà ma è una cosa seria che esige fatica e impegno. E un fondo importante di verità l'aveva anche Cartesio col suo motto Cogito ergo sum, «penso, dunque sono».
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