domenica 27 febbraio 2011
Due sono le grandi gioie della vita d'amore di un uomo: la prima quando per la prima volta può dire «amo»; l'altra ancora più grande quando può dire «sono amato».

«L'inferno, signora, è non amare più». Ha ragione il parroco di Ambricourt quando, nel famoso romanzo di Bernanos Diario di un curato di campagna, rivolge queste parole alla fredda e ipocrita contessa del paese. È in questa luce che si può pienamente sottoscrivere una delle Note azzurre, zibaldone postumo dello scrittore lombardo ottocentesco Carlo Dossi, che abbiamo proposto per la nostra meditazione domenicale. Sì, perché è proprio nei giorni di festa che vibra con maggior veemenza la solitudine: quante persone sono forse lì, davanti al telefono, e aspettano uno squillo e invece nessuno più si ricorda di loro.
È bellissimo ed esaltante il giorno in cui uno può dire a un'altra persona: «Ti amo»; ma è ancor più alta e ineffabile la gioia di sapersi amati. In ultima analisi, in questo nodo interiore è posto il cuore della fede cristiana che fa sentire al credente un Dio che ama, anche se le sue vie " come accade pure nell'amore umano " non sono quelle della logica immediata e scontata. Ma c'è un risvolto negativo che è l'altra faccia della medaglia. Lo esprimo con le parole della Filosofia di uno scrittore francese morto a Parigi nel 1929, Georges Courteline: «È duro, senza dubbio, non essere più amati quando si ama; ma è niente in confronto a essere ancora amati quando non si ama più». È, questa, un'esperienza amara sia per chi è ancora amato e sente su di sé non più un dono ma un peso, sia per chi ama perché il suo amore è solo una fonte di sofferenza e di infelicità. D'altronde, «chiunque ha amato porta in sé una cicatrice», diceva il poeta francese De Musset.
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