venerdì 25 ottobre 2019
Amo troppo Altan (dal 1967, quando fu collaboratore e coautore di un film "italiano" del "cinema novo" brasiliano, girato insieme a un amico di nome e di fatto, Gianni Amico - Tropici - visto al festival del "nuovo cinema" di Pesaro proprio in quell'anno e con gli autori in sala) per non essere contento dell'omaggio che gli viene fatto a Roma dal Maxxi e del catalogo dalle bellissime immagini e dalla bella suddivisione per temi e momenti coprodotto da "La Repubblica" e "L'Espresso", e recuperabile da ieri in edicola. È un omaggio dovuto, a un grande artista del nostro tempo, ma è anche un omaggio che sa di consacrazione un tanto ipocrita, come confermano i molti testi elogiativi che vi sono raccolti. Leggendoli, ci si chiede se non è successo per Altan quel che è successo, prevedibilmente, ad altri grandi prima di lui e succederà ad altri grandi dopo di lui. Se l'intelligenza irriverente di Altan, l'acume straordinario di sociologo e antropologo dell'Italia e delle sue mutazioni degli ultimi decenni, e la grazia dell'artista, non abbiano finito per consolare invece che per far pensare e dar scandalo, come Altan si riprometteva che avvenisse, che avvenga. Invece che per irritare, colpendo e colpendoci nel vivo delle nostre contraddizioni e delle nostre ipocrisie, non abbia finito invece per scaricare le cattive coscienze dei suoi degustatori. Ché ce ne sono tanti di buoni, direbbe Cipputi, e di amari, di scontenti non solo di come gira la storia ma anche di sé, delle proprie - nostre - viltà... Ma, si sa, la "società dello spettacolo" è quella che digerisce anche il piombo, che sa fare libro, film, articolo e successo, che sa ridurre a chiacchiera e salotto anche la bomba atomica, la crisi ecologica, la fame degli altri, i morti in mare, il cancro, l'apocalisse e la fine del mondo... Come aveva ragione Guy Debord nel suo infinitamente attuale saggio su La società dello spettacolo!
Nel retro del catalogo l'immagine del signore in poltrona che dice «Mi chiedo chi sia il mandante di tutte le cazzate che faccio» è stata scelta dall'artista in chiave autocritica? In questo caso, correggerei: «Mi chiedo se tutte le cose che faccio (e che fanno tutti coloro che scrivono e che intendono far arte) non finiscono per portar acqua - non sempre pulita - al mulino del potere» o del "sistema", come si diceva al tempo dell'Altan del '67. Di Altan abbiamo bisogno, e ce n'è solo uno come lui; dei suoi esegeti meno. E ci viene in mente, caro Altan, uno slogan del Maggio francese che certamente tu ricordi: «Corri, compagno, il vecchio mondo è alle tue spalle» e ti riacciuffa, e vuole domarti e addomesticarti. Oggi il vecchio mondo ha espressioni nuove, nuovi modi di addomesticare, molto più astuti di quelli di un tempo. Altan lo sa, e gli auguriamo di non dimenticarsene mai.

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