giovedì 18 ottobre 2018
Ho stampati nella memoria, del mio primo sguardo sul primo figlio appena nato, i suoi occhi. Mi avevano detto che i neonati non vedono, eppure gli occhi lui li aveva spalancati, e volti verso di me. Erano di un colore indefinibile, colore d'acqua di lago; mi folgorò, nel guardarli, il ricordo dell'ultimo sguardo di mio padre, da un letto d'ospedale. Mi dissi: forse siamo come anelli di una catena, segretamente avvinti l'uno all'altro. Mio padre era morto da due anni. Per la prima volta nel trovarmi orfana avevo sentito il desiderio, e quasi la necessità di avere un figlio. Ora, con Pietro in braccio, capivo che mi era stato insopportabile pensare di essere l'ultimo anello, che finiva nel vuoto. Lo stringevo e lui si rannicchiava sul mio seno, ritrovando il conosciuto battito del mio cuore. Sentivo che un legame profondo ci univa, ed era fatto di acciaio. Mi ero già scordata delle doglie. Lo contemplavo: mani piccolissime e perfette, minuziosamente disegnate. Rivedevo le mani di mio padre, grosse, da figlio di contadini, le dita ingiallite dalla nicotina. Mani da fatica, mani andate in guerra. La catena, quella notte, era cresciuta di un anello. Cosa avrebbero fatto un giorno le mani di Pietro? Mi addormentai sfinita e in pace, come avendo adempiuto un ordine del cuore.
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