giovedì 25 ottobre 2007
Non c'è nessuno che comprenda veramente la sofferenza
degli altri. Nessuno che ne condivida sinceramente la gioia. Si crede sempre di andare l'uno verso l'altro e invece si cammina soltanto accanto.
Anche per chi non sa molto di musica, se si dice Schubert, il pensiero corre alla celebre Incompiuta, la stupenda sinfonia in si minore, anche se tante altre sono le opere mirabili di questo compositore austriaco ottocentesco vissuto solo 31 anni. Il suo spirito romantico aleggia anche nelle pagine dei suoi diari dai quali abbiamo tratto questa considerazione amara. Il filo conduttore di tante esistenze è proprio
quello dell'isolamento: soli, in casa, attendono uno squillo di campanello o di telefono, segno di un ricordo, di una presenza. E, invece, tutto resta muto o, al massimo, c'è un distratto scambiarsi di saluti, senza condivisione di gioia o di dolori.
Mi sembra suggestiva l'immagine che il grande musicista adotta. Se ci si mette in cammino per andare verso un altro, la meta è l'incontro,
è lo sguardo gli occhi negli occhi, è l'abbraccio. Questa esperienza è, purtroppo, rara. Ciò che domina è, invece, il camminare accanto: si provi a guardare come si procede nelle città, dove al massimo si ha un contatto di corpi, dove ognuno avanza chiuso in se stesso, dove si ignora persino chi sta accanto a te sullo stesso pianerottolo di casa. Non è un camminare tenendosi il braccio o parlando da amici, come accade ai discepoli di Emmaus che hanno al loro lato Cristo. È solo una coabitazione nello stesso terreno, talora nella stessa famiglia, senza che si vada incontro all'altro, fissandolo nel viso per capirsi, parlarsi e volersi bene.
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