
Gesù è un buon pedagogo: le parabole, quelle piccole storie del quotidiano con cui egli illustra il suo insegnamento, ci aiutano a capire che Dio non è poi così diverso da noi, che non è fuori portata della nostra comprensione. Eppure. A guardarle da vicino, queste parabole ci mostrano soprattutto che Dio non ha niente a che vedere con la nostra realtà abituale. Così, in una parabola che invita alla vigilanza, Gesù ci paragona a servitori che aspettano per tutta la notte che il loro padrone rientri da un banchetto nuziale: «Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli» (Lc 12,37). Nel nostro mondo possiamo ben immaginare che un padrone ricompensi i servi che hanno avuto la pazienza di aspettarlo. Ma possiamo immaginare che quel padrone preferirà, nel cuore della notte, mettersi al loro servizio piuttosto che andarsene a dormire?
Decisamente Dio non ci assomiglia: le parabole vengono soprattutto a sottolineare la distanza infinita tra quello che noi ordinariamente chiamiamo amore e l’amore che lui realmente prova per noi. E la felicità, in tutto questo? Se Gesù dice una beatitudine come questa, è perché c’è gioia nell’essere ricompensati così; ma la più grande felicità non è forse sapere già che il nostro Dio è lì, in abito di servizio, tutto occupato a prendersi cura di noi?
© riproduzione riservata
© Riproduzione riservata
ARGOMENTI: