giovedì 22 febbraio 2024
Eri appena tornato dal mare. Due anni ormai. I capelli ti erano cresciuti, dello stesso biondo chiaro dei suoi. Ti ho issato nel seggiolone. Incantesimo: seduto davanti a me in cucina, quella mattina, sembravi identico al bambino che avevo trenta anni fa - identico a tuo padre. La carnagione chiarissima, gli occhi scuri e attenti, lo stesso sorriso timido. Ti ho guardato meravigliata, caduta dentro un sortilegio: possibile, bambino, che tu sia tornato? Naturalmente no. Ma quanto somigli a tuo padre: due gocce d’acqua. Una vita dopo, eccoti nello stesso seggiolone, Martino. Se vi avessi visto assieme avrei potuto confondervi. Quasi due gemelli. Unica differenza, tu mangi, gioviale, mentre per fare aprire la bocca al tuo papà mio marito doveva salire piedi su una sedia e cantare
«Volare». Oppure si giocava all’aereo in difficoltà: «Torre di controllo – diceva l’aereo, cioè il cucchiaio col boccone – abbiamo un problema, dobbiamo atterrare subito...». E se la torre di controllo dava l’ok, l’aereo lesto atterrava, diritto nella tua bocca. Ora, a tre anni, col tuo monopattino sfrecci sul marciapiede tra le gambe dei passanti. Tuo padre si lanciava in triciclo. Identica la vocazione allo schianto. Che fosse, Martino, la luce mite di quel mattino di settembre, a trasfigurare la realtà? Un incantesimo. Qualche volta, ritornano. © riproduzione riservata
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