A colpi di riforme abbiamo svilito il sistema scolastico
venerdì 16 novembre 2018
La non facile convivenza fra umanesimo, democrazia e capitalismo mi sembra che si stia manifestando con chiarezza esemplare nella scuola e nei suoi problemi. Non appena ci si chiede che cosa deve fare la scuola, cosa deve insegnare, che tipo di esseri umani dovrebbe formare, ecco che il conflitto si manifesta. Da un lato ci sono l'apprendimento tecnico e i saperi funzionali al sistema economico così com'è, un sistema che sta distruggendo ambiente e lavoro, esperienze reali e coscienza critica. Dall'altro dovrebbe esserci un'educazione che incrementi sia i legami sociali comunicativi, morali e pratici, sia la libertà e l'autocoscienza degli individui. Una società sana (se mai ce ne sarà una) rispetta e sviluppa l'autonomia individuale, che a sua volta è la sola garanzia alla formazione di comunità cooperative e necessarie, ma non alienate né eterodirette. Penso che il crollo di credibilità del governo Renzi e della sinistra italiana sia dovuto proprio alle sue riforme della scuola e del lavoro, irresponsabilmente o furbescamente affrettate, vuote di analisi e di prospettive. Il volume Aprire le porte. Per una scuola democratica e cooperativa (Castelvecchi, pagine 188, euro 17,50) curato e introdotto da Piero Bevilacqua, raccoglie quattordici saggi di insegnanti, docenti universitari e studiosi. Proprio perché si presentano come razionalità o la fingono, le innovazioni modernizzanti sia nella società che nella scuola, vanno messe in discussione. Lo chiarisce l'epigrafe di Edgar Morin all'inizio del libro: «Un razionalismo che ignora gli esseri, la soggettività, l'affettività, la vita, è irrazionale. La razionalità deve riconoscere l'importanza dell'affetto, dell'amore, del pentimento. Vera razionalità è quella che conosce i limiti della logica, del determinismo, del meccanicismo e sa che la mente umana non potrebbe essere onnisciente, che la realtà comporta mistero». Ora che il sistema scolastico italiano è sempre più strozzato, impoverito, immiserito sotto i colpi di riforme puntigliosamente e ciecamente normativiste cioè burocratiche, si arriva a capire che nonostante i suoi difetti la nostra scuola, dal 1945 in poi, era fondata su valori solidi, anzitutto la serietà e intensità dello studio. Scrive Bevilacqua: «Quella che a tanti analfabeti informatizzati appare oggi come una forma di arretratezza era un edificio formativo decisamente esemplare». Non riesco a credere in quella esemplarità. Eppure quella scuola era qualcosa con cui misurarsi e magari scontrarsi: oggi la scuola si avvia a essere un quasi nulla. A forza di innovazioni fine a se stesse si sta attuando il suo suicidio.
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