venerdì 24 giugno 2016
È un caso strano e preoccupante quello delle due studentesse, Roberta veneta e Franca calabrese, che si sono trovate in Val di Susa nel 2013 per ricerche inerenti le loro tesi di laurea, processate a Torino per aver partecipato alle manifestazioni dei no-Tav ma assolte perché nei video era evidente la loro marginalità di osservatrici anche se la prima è stata condannata a due mesi con la condizionale per aver usato a volte, nella sua tesi di laurea, il pronome “noi” riferito a se stessa e a membri dei no-Tav: «concorso morale», ha detto il Pm, che aveva chiesto nove mesi di carcere per entrambe. Ora, a parte le questioni legate al “reato d'opinione” di vergognosa memoria (gli anni del fascismo, ma anche quelli della guerra fredda), colpisce anzitutto quel considerare il «concorso morale» con gruppi che lottano per l'affermazione delle loro idee. Questi gruppi praticano, a parte una minoranza di violenti, i metodi di lotta della disobbedienza civile. (Un'immagine di qualche anno fa mi torna alla mente, quando si parla della Val di Susa, quella dei sindaci della valle, eletti democraticamente che fronteggiavano con tanto di fascia tricolore una sovrabbondanza di celerini in divisa, armati e col volto coperto). A colpirmi è la condanna del “noi”. Che non indica solo la volontà di partecipare attivamente alle scelte di fondo di una società, ma è un valore che considero prioritario, soprattutto in un'epoca come la nostra che favorisce stimola premia le forme più odiose dell'individualismo, del narcisismo, dell'affermazione individuale, e questo non solo nel mondo dello spettacolo, condannato al gioco delle apparenze e della fama, ma anche in quello della vita quotidiana e della politica – dove immagine e pubblicità contano più delle idee, della sostanza, del valore del singolo. La parola noi è sacra quando non è la parola del noi contro altri noi, quando è invece la parola della solidarietà, dell'incontro, del ridimensionamento dell'io dentro il gruppo, del fare insieme, dell'ideare insieme, del soffrire insieme, del gioire insieme. È il noi aperto della comunità, il noi dell'azione per affermare insieme ciò che consideriamo giusto, il noi della comunione con gli altri e per gli altri.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI