Salima e quei "bimbi mai più" della guerra in Congo

Rapita per oltre un anno dai miliziani dell'M23 ha subito violenze prima di riuscire a fuggire. Le Ong: ogni mezz'ora nell'Est un minore subisce abusi sessuali
December 29, 2025
Salima e quei "bimbi mai più" della guerra in Congo
Salima restò in ascolto, con il cuore che le pulsava all'impazzata nelle orecchie. Non sentiva quasi gli spari dei vecchi Kalashnikov che crepitavano nella foresta dell'est del Congo, la stessa dove i miliziani ruandesi dell'M23 l'avevano tenuta in schiavitù per mesi e mesi a una ventina di chilometri da Goma. Un colpo di mortaio esplose tra i soldati, seminando il caos. E fu solo allora che capì che doveva andare. Prese per mano l'altra ragazzina che era al suo fianco e corse a piedi nudi tra i rami spezzati e per fuggire dagli aguzzini. Questa non è fantasia, ma la realtà di quasi un anno fa, quando la capitale del Nord Kivu cadde nelle mani dei ribelli fedeli a Kigali.
Nulla di tutto questo è artificiale, niente è intelligente, falso o esagerato. Anzi gli inviati di Reuters che la raccontano l'hanno fatto dopo aver verificato ogni testimonianza, ogni numero fornito da testimoni intervistati nei campi profughi o avuti dalle agenzie umanitarie.  Questa è la guerra nascosta nelle foreste dell'est, nel Cuore inesistente di una Tenebra. Questa è la vita ancora adesso di diecimila bambini, e la stima delle Ong che si occupano di loro è tristemente in difetto, aggregati o arruolati da gruppi armati nel nord e sud del Kivu. Vittime di tutto: di sequestri, di schiavitù di ferite fisiche e dell'anima che non guariranno mai più. Come quelle subite per le 81.388 violenze sessuali denunciate solo nei primi otto mesi di quest'anno agli operatori delle Nazioni Unite con i quali sono riusciti a entrare in contatto dopo essere usciti dall'orrore. Un terzo in più dello stesso periodo dello scorso anno secondo l'Unicef, che stima che nell'est del Congo un bambino venga abusato ogni mezz'ora. Il fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia parla della "peggiore ondata degli ultimi decenni di atrocità compiute sui più piccoli e legate a un conflitto". E i carnefici non sono solo i ribelli dell'M23 ma anche truppe regolari congolesi e le milizie Wazalendo loro alleate.
Una voce su tutte si è levata, quella del Premio Nobel per la Pace Denis Mukwegwe, il ginecologo congolese costretto a fuggire dal suo Paese dopo aver "aggiustato", come dice lui in un libro, ottantamila donne nella sua clinica di Panzi vicino Bukavu dalla prima guerra del Congo del 1996 e fino all'ultima: stiamo vivendo il momento più raccapricciante della nostra storia, ha denuniato. Migliaia di ragazze o madri vittime di un'arma sperimentata già vent'anni fa poco oltre il confine orientale, nel genocidio del 1994 in Ruanda: lo stupro di guerra. L'infamia contro gli esseri più indifesi, le donne, le bambine, i bambini. Eppure questa guerra doveva essere finita un anno fa quando Trump alla Casa Bianca aveva salutato come un "grande miracolo" la vittoria della pace dove "tanti altri hanno fallito". Peccato che poi quell'accordo non sia mai stato applicato, mentre meno di un mese fa è caduta anche Uvira, spinando la strada all'M23 e al Ruanda verso il sud ricco di terre rare. Questo è quello che raccontano i media stranieri di una guerra mai finita.
Ma chi saprà mai che fine ha fatto Robert, catturato dall'M23 nel gennaio di un anno fa quando non aveva ancora sedici anni. L'hanno minacciato e indottrinato a imbracciare un fucile nella stessa unità di combattimento in cui Salima era con altre ragazze picchiata a sangue e costretta a cucinare, curare i feriti delle battaglie e subire violenze di gruppo ogni giorno. Il compito di Robert, prima di riuscire anche lui a fuggire, era quello di radunare le donne come bottino di guerra in ogni località conquistata. Le doveva sorvegliare prima che il loro inferno quotidiano, iniziasse. Ora Robert è scappato e vive nascosto con la famiglia. Quale tribunale potrà mai condannarlo per non aver fatto altro che tentare di sopravvivere che si è avventato su di lui quando non aveva ancora quindici anni? Salima invece non è stata così fortunata e la sua prigionia di oltre un anno al seguito delle truppe ribelli è stata tra le più lunghe di questa nuova guerra. Fuggita nel gennaio dell'anno scorso portando con se nella foresta la tredicenne Nsimine ha ritrovato la famiglia in un campo profughi proprio a Goma e proprio poche settimane prima che i miliziani lo mettessero a ferro e fuoco. Salima e la famiglia vivono ora in un'area ancora controllata dall'M23. Non sa che fine abbiano fatto Nsimine e il bimbo che portava in grembo.

© RIPRODUZIONE RISERVATA