Un tempo felici per un piatto pieno Oggi sempre sazi e insoddisfatti

Su una statale piemontese, in un mezzogiorno di giugno, nell’aria bollente
June 22, 2025
Su una statale piemontese, in un mezzogiorno di giugno, nell’aria bollente. Andiamo adagio fra i paesi, nessuno in giro – già tutti a tavola. Uno slargo di ghiaia: una trattoria. C’è un grosso cane accanto alla porta. Attorno boscaglia, rogge. Lepri, probabilmente. Quella soglia, nella foschia da calura che ferma l’aria e forse anche il tempo, mi conduce a un’altra estate, lontana, su una statale come questa, nel Vicentino. La vecchia Citroen DS navigava lenta, i fari tondi gialli come occhi di rana. Era anche allora mezzogiorno. Mio padre sterzò in uno slargo. Osteria, c’era scritto sull’insegna, e basta. Un cane alla catena, da undavanzale un gatto immobile ci fissava. Dentro ci accolse una penombra fresca e densa di odori: ragù, basilico, vino. Al banco l’oste ci accolse con la dolcezza dell’accento veneto. Sedie di legno scuro, tovaglie a quadretti. Subito ci fu portato il pane, tanto, e acqua, e una caraffa di vino della casa, rosso come sangue scuro. Niente menù: tagliatelle al ragù o al sugo d’arrosto, risotto ai funghi, stinco, recitò l’oste. Arrivarono due scodelle fumanti e tanto piene che io, tredicenne, scoppiai a ridere: “Quanta!” Rise anche mio padre. Io non ci pensavo, ma lui aveva in sé, muto, il ricordo del Don, del gelo e della fame: quel piatto colmo ancora doveva parergli una grazia. Ci rovesciò sopra due cucchiate di parmigiano. Mangiammo tutto. Io pulii anche il piatto con un pezzo di pane: il boccone più buono. Assaggiai soltanto il vino, era la prima volta. Mi sembrò magico, con quel suo brusco profumo. Poi, melone e salame. Mio padre mangiava con gusto, con le mani. Il melone maturo si scioglieva in bocca. Il gatto ora girava sotto al tavolo. Gli diedi dei pezzetti di salame. Dal cortile un gallo, dalla strada il pesante rullio dei camion sull’asfalto. In un angolo, due vecchi avventori giocavano a carte. Il conto, “Due lire”, commentò uscendo mio padre. E quanto buono era, tutto. Così si mangiava una volta in Italia, nelle trattorie lungo le statali. Niente stelle, né chef, né haute cuisine, niente pietanze strane o aromi pretenziosi. Niente scena: solo sostanza, e buona. Esistono ancora, trattorie così? Ci bastava, negli anni ’70, mangiare semplice. I vecchi ancora ricordavano la guerra: già una zuppiera piena e fumante li rallegrava. Siamo cambiati noi. Mangiamo raffinato, complicato, “strano”, perché siamo sazi da sempre. E questa osteria che oggi abbiamo superato somigliava, ma non poteva essere quella del Vicentino di quel giorno. Senza rimpianti non mi sono fermata.  

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