Sulle procedure d’infrazione Meloni si scopre virtuosa nel rapporto con l’Ue

Niente "guerre", l'Italia è scesa all'8° posto nella lista dei Paesi con più pratiche aperte: 68 (guida la Spagna) contro una media di 56. Circa 50 chiuse in due anni, ma resta il nodo d
August 13, 2025
Sulle procedure d’infrazione Meloni si scopre virtuosa nel rapporto con l’Ue
Credit: Roy Conchie / Alamy Stock Photo |
Non è solo sui conti pubblici che fra il governo Meloni e l’Unione Europea è scoppiato un quasi idillio, con l’Italia sì sotto esame da un anno per il deficit sopra il 3%, ma di fatto con una procedura in sospeso, senza che La Commissione abbia adottato ulteriori misure contro il Belpasese. Fra i campi dove c’è per forza di cose un dialogo fra Roma e Bruxelles, anche sulle procedure d’infrazione la situazione è migliore di quanto si potesse temere oltre mille giorni fa (prima che si insediasse l’esecutivo di centrodestra), quando cioè Meloni e Salvini apostrofavano con frasi da battaglia i vertici europei e intimavano loro la fine della «pacchia».
Certo, c’è pur sempre il caso clamoroso delle concessioni balneari che rappresenta un capitolo non chiuso, ma lo sguardo d’insieme offre una quadro non particolarmente grave. A tracciare una linea è un recente dossier del Servizio della Camera per i rapporti con l’Ue, che cita numeri aggiornati al 25 luglio scorso: ebbene, a quella data risultano aperte, nei confronti dell’Italia, 68 procedure d’infrazione, di cui 54 per violazione del diritto dell’Unione e 14 per il mancato recepimento di direttive entro i termini previsti. Sono cresciute di 4 unità rispetto a inizio anno, ma in ogni caso restiamo distanti dalla quota di 82 procedure in piedi a fine 2022 e soprattutto rispetto al picco di 102 procedure toccate a fine 2021, quando paradossalmente a Palazzo Chigi sedeva Mario Draghi (anche se va tenuto conto dello sfasamento temporale, per cui molte pratiche vengono aperte per infrazioni commesse in realtà anche diverso tempo prima), mentre il primato di virtuosità risale a fine 2017 (governo Gentiloni) quando il numero scese a 62. E sono quasi cinquanta quelle che sono state risolte e archiviate negli ultimi due anni.
Le procedure sono lo strumento a disposizione della Commissione Europea per verificare il rispetto nei singoli Stati nazionali del diritto comunitario, che dovrebbe essere uniforme. È un iter lungo, che parte dalla lettera di costituzione in mora con cui Bruxelles chiede maggiori informazioni allo stato membro interessato e che può sfociare in sanzioni (anche giornaliere) che rappresentano comunque uno spreco di risorse pubbliche, anche se non enorme: per l’Italia si stima che nel periodo fra il 2012 e il 2022 sia equivalso a una perdita di quasi un miliardo di euro.
Nel complesso, le procedure aperte verso i vari Paesi dell’Unione sono 1.521. Per l’Italia da sempre la materia più contesa nei rapporti con l’Ue è l’ambiente, dove oggi sono aperti 23 casi. Seguono i trasporti con 7, gli affari economico-finanziari con 6, l’energia e il capitolo lavoro e affari sociali con 5 a testa. Non a caso proprio all’ambiente si riferiscono i due esempi più “anziani”: uno addirittura del 2003 - quindi 22 anni fa - sulla non corretta applicazione delle direttive sui rifiuti e sulle discariche e una del 2004 sul trattamento delle acque reflue urbane, mentre del 2007 è una procedura per il mancato recupero di aiuti concessi per interventi a favore dell’occupazione in tema di contratti di formazione-lavoro.
L’Italia come detto non sfigura nel raffronto continentale: la media europea delle procedure pendenti si attesta a 56 circa per ogni Stato membro. L’Italia si colloca ora all’ottavo posto, in una graduatoria che è dominata dalla Spagna con 92 procedure, seguita dalla Polonia con 88 e dalla Bulgaria con 83. La ritrovata virtuosità italiana è confermata dal fatto che, per dire, la Germania non è lontana, con 61 procedure attive, mentre la Francia è a 57. Come sempre, i più rispettosi in genere sono i Paesi nordici: il primato spetta alla Finlandia con solo 29 iter in corso. Le ultime due pratiche aperte contro l’Italia risalgono al giugno scoso: una sul rafforzamento della presunzione d’innocenza e una sui controlli per l’acquisto e la detenzione di armi.
Tornando al capitolo dei balneari, resta sempre un dei dossier più intricati per il governo, storicamente vicino alle ragioni di questa categoria che invece non si sente tutelata a sufficienza. A quasi un anno dall’approvazione della legge fatta per chiudere il contenzioso con l’Ue, la messa a gara delle spiagge italiane che va conclusa entro il settembre 2027 avanza a passo di lumaca: pochissimi Comuni hanno pubblicato i bandi. Mentre la Commissione il 7 luglio ha inviato una nuova lettera all’Italia per cercare una «soluzione costruttiva» risolvendo alcune divergenze che permangono, in particolare sul tema degli indennizzi che i titolari uscenti delle concessioni vorrebbero veder crescere e che dovrebbero incassare da chi si aggiudicherà il titolo concessorio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA