Perché ora il centrodestra pensa di cambiare la legge elettorale
Dopo le Regionali finite «in pareggio», nella coalizione di Governo si affaccia l'idea di cancellare i collegi uninominali per le politiche del 2027. Il muro del Pd: lo farebbero per non perdere

C’è il piano formale dei complimenti della premier Giorgia Meloni e dei vicepremier Matteo Salvini e Antonio Tajani al leghista Alberto Stefani vincente in Veneto, delle pacche sulla spalla a Edmondo Cirielli e Luigi Lobuono perdenti in Campania e in Puglia e delle congratulazioni da "bon ton della politica" agli avversari. C’è poi il piano degli equilibri interni alla coalizione, con la Lega ora più forte perché il voto in Veneto è figlio di un patto fra Luca Zaia e Salvini. E c’è infine quello, cruciale in prospettiva, delle riflessioni sotto traccia, seguite al primo debriefing, per elaborare strategie per il futuro. Nella complessa serata post elettorale del centrodestra, i tre piani s’intersecano, aprendo spiragli sullo scenario politico dei prossimi mesi. Lo lasciano intendere le considerazioni di uno dei generali dello stato maggiore meloniano, in cui si può leggere ben più di una disamina “a botta calda” dell’esito delle urne: «Non c’è stata la spallata evocata dalla sinistra. Nessuno scossone. La partita delle Regionali è finita 3 a 3 e non 5 a 1, come dicevano loro...», argomenta Giovanni Donzelli, responsabile dell'organizzazione di Fratelli d'Italia, mettendo subito a fuoco il vero nodo su cui - in seno al centrodestra - si sta ragionando: «L’Italia sta godendo di una stabilità politica, frutto della compattezza della coalizione di centrodestra ma anche delle divisioni del cosiddetto campo largo», argomenta uno dei generali più fidati dello Stato maggiore meloniano, dicendosi convinto che «se si dovesse votare oggi, non ci sarebbe la stessa stabilità, a prescindere da chi vincerebbe».
La leva della «stabilità» per aprire un confronto
Torna più volte, la parola chiave «stabilità», sventolata con orgoglio tanto più dopo il lusinghiero innalzamento del rating italiano da parte dell’agenzia Moody’s. Un assunto - «La stabilità è utile per il Paese» - che Donzelli ripete come un mantra. E che lo porta al seguente corollario: «L’Italia sta vivendo un momento di crescita per un ottimo Governo, ma è anche conseguenza della stabilità. Non ci sono dogmi, ma crediamo che quindi serva anche una riflessione sulla legge elettorale. Se vincesse il campo largo saremo serenamente a fare opposizione. Ma ci vuole un confronto sereno, perché è necessario che anche in futuro si garantisca la stabilità». C’è chi legge l’affondo come conseguenza dello spauracchio costituito dal “campo largo” stravincente in Campania e in Puglia (quel Sud dove alle scorse politiche Pd e M5s si erano presentati divisi). Ma Donzelli non ci sta: «Le elezioni regionali sono un voto locale, frutto di dinamiche locali. Il voto sul Governo ci sarà alle elezioni politiche». Orizzonte che però si sta facendo più vicino. Proprio per questo, quando sarà superato lo scoglio del referendum confermativo di marzo sulla riforma dell’ordinamento giudiziario, c’è chi ritiene in maggioranza che si debba provare a chiudere le partite aperte sulle altre riforme, a partire da quella sul premierato, che porterà con sé il nodo della legge elettorale.
L'ipotesi del bianchetto sui collegi uninominali
Il filo rosso del ragionamento parte dall’ipotesi che - stante l’intesa fra Pd e M5s come chassis del campo largo - nei collegi uninominali l’esito possa essere ribaltato rispetto a tre anni fa. E che, pertanto, possa essere più prudente cancellare la parte di collegi uninominali in favore di un proporzionale con premio di maggioranza. Un ragionamento che però nessuno esplicita. Per ora c’è solo l’avance donzelliana, forse formulata - come cantava Jannacci - per vedere l’effetto che fa. Il primo effetto, in verità, è il muro alzato dal Pd, con Elly Schlein: «Questa discussione la sta facendo la destra, non c'è ancora nessuna proposta concreta, ma parte dalle premesse peggiori», punzecchia la segretaria dem. Una, prosegue, «è la paura di perdere perché con la coalizione che abbiamo costruito oggi, nel 2022 loro non avrebbero vinto e perderebbero nel 2027. E l’altra è il premierato, che contrasteremo duramente. Non siamo disposti a ridimensionare le prerogative del Parlamento e del presidente della Repubblica». Più sfumata è la valutazione di M5s: «Noi siamo contrari all’attuale legge elettorale, siamo per cambiarla con una proporzionale - osserva il capogruppo 5s alla Camera Riccardo Ricciardi -. Ma quando uno ha consenso, alla fine può fare la legge elettorale che vuole e rimodellarla a sua immagine e somiglianza». Ecco, che sia proprio questo il desiderio proibito del centrodestra, nessuno lo dice. Ma, dopo il voto di ieri, più d’uno lo pensa.
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