Open arms, parte seconda: il ricorso della procura contro Salvini e le accuse
I pm di Palermo impugnano l'assoluzione di primo grado. Il capo della Lega: difendere i confini non è reato. La premier e il governo fanno quadrato. Nordio: assoluzioni non devono essere appel

Il caso Open arms non è ancora finito. La procura di Palermo ha depositato il ricorso in Cassazione contro la sentenza che ha assolto dai reati di sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio il leader della Lega Matteo Salvini. Si tratta del cosiddetto "ricorso per saltum" che consente di evitare il giudizio di appello e di ottenere direttamente una pronuncia della Suprema Corte. «Anche nel caso della Open Arms - scrive la procura del ricorso - deve concludersi che l'ipotizzata incompetenza del ministro al rilascio del Pos (Place of safety, il cosiddetto porto sicuro) quale condizione sufficiente per escludere tout court la responsabilità dell'imputato per entrambi i reati, non può che risolversi, alla luce della peculiare tutela che l'ordinamento riserva alla libertà personale e della struttura dei due delitti, nell'omissione della motivazione in violazione dell'articolo 125 del Codice di procedura penale. Ciò vieppiù se si considera la formula assolutoria utilizzata che a fronte del riconosciuto trattenimento a bordo dei migranti e dell'altrettanto riconosciuta assenza di un intervento positivo del ministro, non risulta supportata da nessuna plausibile ragione giuridica o meglio da alcuna spiegazione». Insomma, secondo la procura la sentenza di assoluzione di Salvini è carente dal punto di vista delle motivazioni.
La replica di Salvini, la difesa di Meloni e le parole di Open arms
Ovviamente il ricorso arriva come un fulmine sulla giornata politica. Matteo Salvini replica a caldo: «Dopo più di trenta udienze, il Tribunale mi ha assolto perché il fatto non sussiste riconoscendo che difendere i confini non è un reato. Evidentemente qualcuno non si rassegna, andiamo avanti: non mi preoccupo». Poco dopo si schiera nettamente a fianco al suo vicepremier la presidente del Consiglio Giorgia Meloni: «È surreale questo accanimento, dopo un fallimentare processo di tre anni a un ministro che voleva far rispettare la legge, concluso con un'assoluzione piena. Mi chiedo cosa pensino gli italiani di tutte queste energie e risorse spese così, mentre migliaia di cittadini onesti attendono giustizia», scrive la premier sui social. Salvini la ringrazia con un commento sotto i suoi post: «Grazie Giorgia. Sono convinto che difendere l'Italia e i suoi confini non sia un reato. Altri mesi di processi? Io vado avanti, a testa alta, con la certezza di aver fatto il mio dovere, senza paura».
Tuttavia, dopo qualche ora i toni apparentemente infuocati di Salvini si raffreddano, forse anche su consiglio dell'avvocata-parlamentare Giulia Bongiorno, che assiste l'attuale vicepremier ed ex ministro dell'Interno. Bongiorno ricorda che la sentenza di primo grado è stata «completa, puntuale in fatto ed ineccepibile in diritto». Poco dopo la stessa Bongiorno fa filtrare una nota per smentire il cuore del ricorso della procura: a suo avviso, i giudizi in primo grado si sono espressi anche sui fatti, non solo in termini di diritto, dunque scagionando il ministro in merito alle condotte. A stretto giro Salvini sembra adeguarsi ad una postura meno conflittuale: «Su OpenArms - dice - non c'e' alcuno scontro tra politica e magistratura, e infatti ringrazio il Tribunale di Palermo e sottoscrivo tutte le 268 pagine che motivano la mia totale assoluzione, arrivata dopo decine di udienze e anni di approfondimenti». Ma l'umore è oscillante, e durante la giornata torna a definirsi «inc....», vittima di quello che ritiene essere un «processo politico», nato a suo avviso con gli atti parlamentari della maggioranza che reggeva il Conte II.
Sul ricorso interviene anche Oscar Camps, fondatore della ong Open Arms, che al processo di primo grado dà un significato diverso rispetto a Salvini e Bongiorno. «I fatti sono stati ampiamente ricostruiti in primo grado, abbiamo piena fiducia nel lavoro della procura». Per la ong, evidentemente le udienze avrebbe evidenziato dei profili di responsabilità che poi non avrebbero trovato riscontro nella sentenza. Ma possono essere solo deduzioni, perché altro il fondatore di Open arms non dice.
Salvini, che ha ricevuto anche una telefonata dal presidente della Camera, il collega di partito Lorenzo Fontana, incassa anche la vicinanza dell'attuale ministro dell'Interno, Matteo Piantedosi. «Se Salvini è imputabile per quello che fece mi ritengo moralmente imputabile anche io», dice l'attuale titolare del Viminale, ai tempi capo di gabinetto di Salvini e coinvolto inizialmente nell'indagine, ma in una posizione che poi è stata stralciata dal filone inerente il capo della Lega. «Certo stride molto - affonda Piantedosi - che in una sede giudiziaria storicamente impegnata su temi importanti, che ha arrestato Messina Denaro, ci sia anche questo valore simbolico negativo e ci sia un ufficio giudiziario che ritiene che un ministro della Repubblica possa essere indagato per reati così gravi per aver semplicemente praticato una politica di contrasto a un fenomeno odioso. Sul quel tipo di approccio ormai stanno convergendo tutta l'Europa e tutto il mondo e in Italia invece i ministri vengono processati». In ogni caso Piantedosi è convinto che la Cassazione confermerà il giudizio di primo grado.
Pesante anche l'intervento del ministro della Giustizia Carlo Nordio: «Niente impugnazione contro le sentenze di assoluzione, come in tutti i Paesi civili. Altrimenti finiamo a ciò che è avvenuto col caso Garlasco. Al di là delle implicazioni politiche di questa scelta inusuale, si pone il problema tecnico. Come potrebbe un domani intervenire una sentenza di condanna al di là di ogni ragionevole dubbio, quando dopo tre anni di udienza un giudice ha dubitato e ha assolto? La lentezza della nostra giustizia dipende anche dall'incapacità di molti magistrati di opporsi all'evidenza. Rimedieremo», dice il Guardasigilli annunciando dunque una riforma che aprirà un nuovo fronte con la magistratura e con l'Anm. La proposta di Nordio, in ogni caso, ha già l'appoggio preventivo di Antonio Tajani e di Forza Italia.
Il ricorso della procura e l'accorata difesa da parte di Piantedosi arrivano in un momento politicamente delicato, in cui ancora si discute della possibile candidatura del ministro dell'Interno a governatore in Campania, e dunque di una eventuale sua sostituzione al governo. Il ritorno al Viminale è da sempre il sogno di Salvini, sogno che però si allontana con il nuovo giudizio in Cassazione. Non ci sono reazioni a caldo da parte delle opposizioni: il Pd è in affanno sul caso-Milano, Conte ed M5s vivono ancora l'imbarazzo per fatti che sono avvenuti durante il governo gialloverde formato proprio con la Lega.
Il caso Open arms e cos'è il ricorso "per saltum"
Nell'agosto 2019 l'imbarcazione dell'ong Open arms mise in salvo 147 migranti e chiese alle autorità italiane un porto sicuro in cui sbarcare. Passarono 19 giorni prima che i naufraghi potessero essere accolti a Lampedusa. La procura a seguito ha deciso di procedere contro Salvini per sequestro di persona e rifiuto di atti d'ufficio. I fatti vanno contestualizzati in un'estate caldissima, con Salvini e la Lega ai picchi di consenso dopo l'exploit delle Europee. Ai tempi era in carica il governo Conte I, che di lì a poche settimane sarebbe andato in crisi proprio per la frattura tra M5s e Carroccio, lasciando campo all'esecutivo Conte II, formato da pentastellati e Pd. Salvini è stato assolto nel dicembre 2024 con la formula "il fatto non sussiste".
Con il ricorso "per saltum", i pm di Palermo attivano l'articolo 569 del Codice di procedura penale. Grazie a questo procedimento è possibile impugnare una sentenza di primo grado direttamente in Cassazione, senza passare per il giudizio di appello. Per il ricorso "per saltum" è però necessario che entrambe le parti siano d'accordo. Inoltre non si applica in due casi: per "mancata assunzione di una prova decisiva, quando la parte ne ha fatto richiesta anche nel corso dell'istruzione dibattimentale", e per "mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame". In tali casi, il ricorso eventualmente proposto si converte in appello.
Si tratta di uno strumento che ha come vantaggi quello di far risparmiare tempo e di ridurre i costi del processo di appello, ma ha anche dei contro: si perde l'occasione di presentare nuovi argomenti o prove in un eventuale secondo grado di giudizio. Nel caso specifico però i pm di Palermo sembrano non temere quest'aspetto: a loro avviso infatti il verdetto non confuta i fatti presentati dall'accusa ma giunge alla sua conclusione interpretando le leggi in modo errato. Di conseguenza non ci sarebbe altro da aggiungere in un secondo grado di giudizio: meglio passare subito al giudizio di legittimità.
Il caso recente più famoso di ricorso "per saltum" ha riguardato il processo Ruby Ter, protagoniste le cosiddette "olgettine". In quel caso fu la Procura di Milano a ricorrere alla Cassazione contro la sentenza di assoluzione di primo grado, che arrivò per una questione giuridica. Le ragazze, più di 10 anni prima, furono infatti sentite nei due processi milanesi come testi e non come indagate. Anche allora l'accusa aveva chiesto di annullare le assoluzioni, bypassando l'appello. Lo scorso ottobre la Cassazione aveva disposto il processo di appello.
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