L'attacco, poi la frenata. Cosa ha detto La Russa su Garofani

Il presidente del Senato auspica un passo indietro del consigliere del Quirinale, tenendo fuori Mattarella. Ma poi corregge il tiro: «Non tocca a me dire che cosa deve fare»
November 24, 2025
L'attacco, poi la frenata. Cosa ha detto La Russa su Garofani
Ignazio La Russa, presidente del Senato, al convegno “Italia Direzione Nord" in corso a Milano / Ansa
Francesco Saverio Garofani «è il segretario del Consiglio supremo di Difesa, quello che si deve occupare della difesa nazionale. Credo che forse è meglio che quel ruolo lo lasci a qualcun altro». Così il presidente del Senato, Ignazio La Russa, intervenendo all’evento “Italia Direzione Nord” in Triennale, a Milano, riapriva, per pochi minuti il caso Garofani-Bignami.
La frase, anche in considerazione del fatto che a pronunciarla era la seconda carica dello Stato, causava immediatamente reazioni (il verde Angelo Bonelli parlava di «pressioni indebite sul Quirinale»), che inducevano lo stesso La Russa nel giro di pochi minuti - una volta resosi conto dai lanci di agenzia dell’effetto-bomba suscitato - a correggere il tiro vistosamente: «Spiace che avere risposto a una domanda sul consigliere Garofani possa pensare di far riaprire un caso che, anche io, come Giorgia Meloni, considero chiuso e sul quale ho espresso personalmente sin dal primo minuto, piena solidarietà al presidente Mattarella. Certo - prova poi a giustificarsi -, ho detto, forse in maniera troppo sincera, che Garofani potrebbe essere imbarazzato a svolgere il ruolo non di consigliere ma di segretario del Comitato supremo di Difesa. Ma non tocca a me chiedere le sue dimissioni e nemmeno l’ho fatto», afferma.
Una frenata brusca, di quelle che lasciano i segni dei pneumatici sull’asfalto. In realtà La Russa, per un caso che dice di considerare “chiuso” si era soffermato piuttosto a lungo sull’argomento, con l’inevitabile effetto di riaprirlo. «Fosse stato uno di destra, oggi lo vedremmo appeso nei lampioni della città, o probabilmente cattolicamente crocifisso. Pensate che questo è il segretario del comitato di Difesa, che è quello che si deve occupare della difesa nazionale. Ecco, io credo che almeno quel ruolo forse è meglio che lo lasci a qualcun altro», aveva detto intervenendo dal palco dell’evento alla Triennale di Milano. «L’idea che mi sono fatto - aveva proseguito - è di un consigliere, che in un ambiente di tifosi più che calcistico, quindi a ruota libera, non so se bevessero anche vino, e come si suol dire “in vino veritas”, si sia lasciato andare improvvidamente a tutta una serie di valutazioni sul governo e sulla Meloni. Certo che se a parlare è un consigliere del presidente della Repubblica, non si può addossare ciò che dice al presidente della Repubblica, ma una critica a questo consigliere è assolutamente legittima, specie se gli è stato chiesto di smentire, e lui anziché smentire ha detto che è vero, ma si trattava di chiacchiere tra amici. La colpa - aveva aggiunto - è di chi solleva il problema, non di chi forse inconsciamente esprime non il pensiero del presidente della Repubblica, ma i suoi personali desideri, che non sono degni di uno che fa il consigliere del presidente». E, dopo aver ironizzato su un uomo a lui tanto vicino aveva concluso con parole concilianti verso il capo delloStato: «Voglio esprimere piena solidarietà al presidente della Repubblica Mattarella che, sono certo, non ha nessuna responsabilità e sicuramente non condivide le idee del suo consigliere».
Parole destinate nel giro di pochi minuti a una mezza smentita da parte di chi le aveva pronunciate, senza suscitare nessun effetto, se non quello - non voluto - di togliere definitivamente dal tavolo l’ipotesi (se mai ci fosse stata) di un passo indietro di Garofani.
Al di là della portata delle considerazioni del consigliere del Quirinale sullo scenario politico - che non implicano nessun ruolo attivo, né da parte sua, né tantomeno del Colle - l’interrogativo inquietante è legato al fatto che non si sia trattato, con tutta evidenza, di un lavoro giornalistico, dal momento che uno scoop - come nel calcio la rete di un attaccante - reca sempre una firma per l’orgoglio di appuntarsi sul petto il merito di averlo messo a segno.
Se non di un colpo giornalistico si è trattato, allora, chi e perché aveva interesse a intercettare le considerazioni svolte, a bassa voce e da libero cittadino, del consigliere che svolge il ruolo di segretario del Consiglio supremo di Difesa, durante una cena, in ricordo della morte drammatica del calciatore Agostino Di Bartolomei, organizzata dal figlio Luca? Ci sono irregolarità di mezzo (se non reati) ad averlo reso possibile, dal momento che l’autore non rivela il suo nome?
Interrogativi tanto più inquietanti se si tiene conto di quanto delicato sia il mantenimento dell’unità di intenti del nostro Paese fra Palazzo Chigi e Quirinale in seno al Consiglio supremo di Difesa, specie in un momento come questo. Tutti quesiti irrisolti, che spiegano con chiarezza perché l’auspicio di La Russa, peraltro ritirato nel giro di pochi minuti, è destinato a non essere nemmeno preso in considerazione sul Colle più alto.

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