giovedì 21 maggio 2020
Nel messaggio alle Pontificie Opere Missionarie il Papa mette in guardia dai rischi dell'autoreferenzialità e dell'elitarismo. "Non complicare ciò che è semplice"
Papa Francesco riceve in udienza i Missionari d'Africa (Padri Bianchi)  e le Suore Missionarie di Nostra Signora d'Africa (Suore Bianche), Città del Vaticano, 8 Febbraio 2019

Papa Francesco riceve in udienza i Missionari d'Africa (Padri Bianchi) e le Suore Missionarie di Nostra Signora d'Africa (Suore Bianche), Città del Vaticano, 8 Febbraio 2019 - ANSA/VATICAN MEDIA

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«Quando nella missione della Chiesa non si coglie e riconosce l’opera attuale ed efficace dello Spirito Santo, vuol dire che perfino le parole della missione – anche le più esatte, anche le più pensate – sono diventate come “discorsi” usati per dar gloria a sé stessi o rimuovere e mascherare i propri deserti interiori… Ricevere la gioia dello Spirito è una grazia. Ed è l’unica forza che possiamo avere per predicare il Vangelo, per confessare la fede nel Signore».

Così papa Francesco nel Messaggio pubblicato oggi e indirizzato alle Pontificie Opere Missionarie, in occasione della Solennità dell’Ascensione del Signore. Un documento denso e puntuale che il Vescovo di Roma ha voluto riproporre per andare dritti al cuore del dinamismo missionario che fa muovere la Chiesa. Nelle pagine del nuovo testo magisteriale il Papa aiuta a puntare lo sguardo sul mistero più intimo della missione della Chiesa: il fatto di essere «opera dello Spirito Santo e non conseguenza delle nostre riflessioni e intenzioni».

E proprio attingendo a quella sorgente, suggerisce anche quali sono gli anticorpi per superare insidie, tentazioni e vere patologie che possono aggredire organismi e realtà ecclesiali, quando invece di farsi docili all’operare dello Spirito Santo trasformano perfino le parole della missione in «“discorsi di umana sapienza”, usati per dar gloria a sé stessi o rimuovere e mascherare i propri deserti interiori».

I tratti distintivi della missione

Lo Spirito Santo – rimarca il Papa, ritornando alle parole-chiave già messe a fuoco nell’Evangelii Gaudium – trasmette all’autentica missione della Chiesa dei tratti genetici che «rendono l’annuncio del Vangelo e la confessione delle fede cristiana un’altra cosa rispetto ad ogni proselitismo politico o culturale, psicologico o religioso». Citando Benedetto XVI, il Pontefice regnante ricorda che la Chiesa cresce per attrattiva e non per proselitismo, perché solo «la gioia che traspare in coloro che sono attirati da Cristo e dal suo Spirito» può rendere feconda ogni iniziativa missionaria. E ricorda che il mettersi “in stato di missione” è sempre un riflesso della gratitudine per il dono ricevuto, e non «una specie di “obbligo contrattuale” dei battezzati». Chi cammina con Gesù si assimila alla sua mitezza e umiltà di cuore, perché «la felicità e la salvezza non sono un nostro possesso, un traguardo raggiunto per meriti nostri», e «mai si può pensare di servire la missione della Chiesa esercitando arroganza come singoli e attraverso gli apparati». Chi annuncia Gesù con la sua vita, lo segue anche sulla via della pazienza con cui lui «accompagnava sempre con misericordia i passi di crescita delle persone» senza «aggiungere pesi inutili», senza «imporre cammini di formazione sofisticati e affannosi per godere di ciò che il Signore dona con facilità». Il Papa indica tra i tratti genetici della missione cristiana anche la predilezione per i piccoli e i poveri. Ricorda che Gesù ha incontrato i suoi primi discepoli mentre erano intenti al loro lavoro: «Non li ha incontrati a un convegno, o a un seminario di formazione», per ripetere che alla missione non serve «creare mondi paralleli, o «costruire bolle mediatiche in cui far riecheggiare i propri slogan». E ripete anche che il Popolo di Dio «ha una specie di fiuto», il sensus fidei, per cogliere e riconoscere l’operare dello Spirito Santo.

Non complicare ciò che è semplice

Alle Pontificie Opere Missionarie, la rete di carità e preghiera a servizio della missione sparsa in tutto il mondo, il Papa suggerisce di riscoprire la propria identità e trovare nei propri tratti originari gli spunti per svolgere il proprio compito nel presente e nel futuro. Queste Opere – ricorda il Papa – sono nate dal fervore del popolo fedele dei battezzati, e conviene che riscoprano e custodiscano la loro semplice “inserzione” in seno al popolo di Dio. Lungo la loro storia sono sempre andate avanti seguendo i due «argini» della preghiera e della carità, nella forma delle elemosine raccolte per le missione, e conviene sempre custodire e non snaturare questi tratti elementari, così preziosi nel tempo presente, «in cui anche nella circostanza del flagello della pandemia si avverte dovunque il desiderio di incontrare e rimanere vicino a tutto ciò che è semplicemente Chiesa», e «non serve complicare ciò che è semplice». Insistite anche sulla opportunità di valorizzare il vincolo speciale che lega le Pontificie Opere proprio al Successore di Pietro, e può diventare «un sostegno di libertà» che le aiuti a sottrarsi a «mode passeggere, appiattimenti su scuole di pensiero unilaterali o omologazioni culturali di impronta neo-colonialista». E questo anche per non mortificare la vivace pluralità delle Opere Missionarie, specchio della «ricca varietà del “popolo dai mille volti” raccolto dalla grazia di Cristo».

Le patologie che snaturano la missione

Oltre a offrire suggerimenti concreti per il cammino presente e futuro, papa Francesco chiama per nome e descrive con tono puntuale e incalzante le patologie che possono snaturarle. Chiama in causa l’autoreferenzialità di apparati e personaggi che nella Chiesa riservano «energie e attenzioni soprattutto alla propria auto-promozione e alla celebrazione in chiave pubblicitaria delle proprie iniziative». Oppure quelli sorti «per aiutare le comunità ecclesiali», e che alla lunga col tempo puntano a «esercitare supremazie e funzioni di controllo nei confronti delle comunità che dovrebbero servire», con la «presunzione di esercitare il ruolo di “depositari” dispensatori di patenti di legittimità nei confronti degli altri». Invece, secondo Francesco, «non serve fare congetture e teorizzare su super-strateghi o “centrali direttive” della missione. Conviene piuttosto guardarsi dall’idea «di appartenere a un’aristocrazia», una «classe superiore di specialisti che cerca di allargare i propri spazi in complicità o in competizione con altre élite ecclesiastiche». Occorre guardarsi anche dai complessi di superiorità di coloro che guardano alla moltitudine dei battezzati come «una massa inerte», da rianimare e mobilitare per portarli a raggiungere «una “presa di coscienza” attraverso ragionamenti, richiami, insegnamenti». E non farsi contagiare da quelli che «perdono il contatto con la realtà e si ammalano di astrazione», moltiplicando «inutili luoghi di elaborazione strategica», tutti presi dalla frenesia di «produrre progetti e linee-guida che servono solo come strumenti di autopromozione di chi li inventa». Anche – e non solo - nel lavoro delle POM, il Papa suggerisce piuttosto di «non portare bagagli pesanti», attenendosi alla loro natura di «strumento di servizio alla missione nelle Chiese particolari». Consiglia di custodire i loro tratti elementari anche per resistere alle pretese di standardizzare forme e priorità dell’annuncio del Vangelo, magari attraverso «cliché e slogan che vanno di moda in certi circoli di certi Paesi culturalmente o politicamente dominanti».

No a presuntuose rifondazioni

In definitiva, il Papa non indica la strada di presuntuose “rifondazioni”. La prospettiva, indicata anche attraverso consigli estremamente concreti, è piuttosto quella di fare bene il lavoro a cui si è stati chiamati, per quello che è, nel solco della propria vicenda storica. Ad esempio, riguardo a eventuali cambiamenti nel funzionamento delle POM, il Papa fa presente che «un’eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, può complicare la dinamica missionaria» e nello stesso tempo, anche la gestione su scala puramente nazionale delle iniziative delle POM mette a repentaglio la fisionomia stessa della rete. E dà indicazioni precise anche riguardo alla raccolta di risorse per la missione. Riconoscendo che in molti casi è legittimo e a volte opportuno il ricorso a metodologie aggiornate di reperimento dei finanziamenti da parte di potenziali e benemeriti sovventori, ricorda che la richiesta di offerte per le missioni va rivolta comunque in primis «a tutta la moltitudine dei battezzati», visto che da sempre la Chiesa continua a camminare nella storia «grazie all’obolo della vedova», al contributo di tutti quelli che donano quello che hanno per la gratitudine di essere stati consolati da Gesù. Perché l’orizzonte è quello di «dare risposte concrete a esigenze oggettive, senza dilapidare risorse in iniziative connotate da astrattezza, auto-referenzialità o partorite dal narcisismo clericale».

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