Voci, sorrisi e pensieri gentili e forti al tempo strano del coronavirus
giovedì 27 febbraio 2020

Caro direttore, nella mia vita (le primavere sono ormai settantacinque) ho sempre sentito persone che si lamentavano perché la Messa era «noiosa», «troppo lunga», «con omelia banale», «con omelia incomprensibile e barbosa» ecc. Per la prima volta sento qualcuno che si lamenta «perché la Messa non c’è». Ho pensato che il Padre Eterno vuole farcele provare proprio tutte e ho sorriso. Un sorriso, in questi giorni di allerta per il Covid-19, non fa male!

Luigi Bebber Verona

Gentile direttore appartengo a quella generazione nata a metà degli anni 60 che ha avuto i genitori bambini durante la Seconda guerra mondiale. Ho in mente i racconti dei miei genitori e delle mie nonne che mi spiegavano che un tempo, anche in piena guerra, le persone si aiutavano nella miseria e nella compagnia umana reciproca. Forse avevano bassa istruzione e, naturalmente, il loro umore era anche volubile, ma erano un popolo. Io, in questi giorni, non sto andando in giro con la mascherina, non sono per niente preoccupato. La cosa che mi preoccupa è la sanità mentale delle persone. In quell’epoca, si facevano processioni, Messe e momenti di preghiera di fronte a carestie, epidemie, terremoti, alluvioni etc. Non c’era molta igiene, non c’erano mascherine, ma la gente partecipava di cuore a queste cose. Non solo perché ci credeva, ma perché sapeva che Lassù ascoltano molto bene le nostre anime... Ecco perché non riesco a capire il motivo per cui non si può andare a Messa con la convinzione che non solo le preghiere vengono ascoltate, ma il modo umano di guardare l’altro, cristiano o meno, serve a rendere la vita una comunità e non un arcipelago come sempre più sembra essere diventato questo mondo. Ognuno nella sua isoletta con il suo smartphone con cui fa finta di condividere la propria umanità. Ogni tanto ci si decide di fare qualche visita, ma l’isoletta è là, pronta a difenderci. Mi creda, non sono un cattolico al quale preme sbattere in faccia agli altri i Vangeli e la mia Fede, come un superpotere che risolve tutto. Dal punto di vista sanitario, lo sa bene anche lei, ne uccide più l’influenza e le infezioni ospedaliere che questo virus. Personalmente se devo preoccuparmi per delle infezioni mi preoccupa di più la meningite o l’epatite. Ma la vera e profonda preoccupazione per me sta nel constatare come sia cambiato il cuore dell’uomo e la paura sia il sostegno anche dei credenti. La paura è lecita, ma diventare egoisti e poco ragionevoli no. I media stanno amplificando le paure. Mi dispiace che i sacerdoti abbiano paura di fare una Messa, anche una sola al giorno. Per cui, concludo, la mia domanda che porto dentro di me sempre è: in che cosa consisto? Grazie della pazienza.

Pierfrancesco Bernieri Buccinasco (Mi)

Caro direttore, le epidemie, si sa, sono sempre state usate da re e imperatori per sfruttare meglio i popoli. Questa non fa eccezione. Proprio per questo ci deve far pensare. Per esempio a quanto la spesa militare toglie risorse alla ricerca scientifica. Occorre riflettere: si può tagliare la spesa militare a livello mondiale, iniziando dal bando delle armi nucleari, proposto e portato avanti da 140 Paesi all’Assemblea generale delle Nazioni Unite e sostenuta anche dalla Chiesa cattolica, da molte chiese protestanti e da una parte del buddismo. Cosa aspettano Italia ed Europa a fare propria questa proposta di civiltà?

Lorenzo Picunio

Caro direttore, è il Mercoledì delle Ceneri e la Chiesa cattolica, madre universale, in questo giorno di Quaresima e di pentimento ci ricorda: ' Memento homo, quia pulvis eris et in pulverem reverteris. Ricordati uomo che eri polvere e in polvere ritornerai (Genesi 3,19). È bene esserne consapevoli, e grati.

Francesco Felice Previte

Caro direttore, scrivo da Milano, è mercoledì 26 febbraio, terzo giorno di deserto forzato. E ho in mente Osea (2,16): «Perciò io la sedurrò e la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore». Nel nostro Paese e nella nostra società, l’azione del coronavirus, si diffonde. Scuole, università, luoghi di divertimenti e di cultura sono chiusi. Perfino il Duomo della nostra città e le chiese rimangono aperte solo per la preghiera personale, precluse le celebrazioni delle Messe. Vietato ogni assembramento di persone. Ma la Parola di Dio – Giacomo 4,13-16 1 –, nel silenzio, si fa sentire, basta mettersi in ascolto e cercare cosa ci dice in un simile contesto, non solo per noi stessi, ma per gli altri, amici e no. Per tutti coloro che si lasciano guidare da Essa e vogliono avere una risposta ai vari perché: come mai che tutte le nostre programmazioni sono andate in frantumi? Qualcuno la può scambiare per una 'punizione', a causa del nostro vivere civile un po’ immorale. Mentre io mi sono messo in ascolto: Dio non ci può abbandonare in una simile situazione. E ora «a voi, che dite: 'Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni', mentre non sapete quale sarà domani la vostra vita! Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare… ». È bastato un virus, un’entità che non può essere vista a occhio nudo per influire sul nostro modo di vivere e, quel che è peggio, gettare nel dolore e nella morte alcuni, in modo particolare le persone anziane. Dovreste dire invece: «Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello». Avendo vissuto in un Paese a maggioranza islamica per anni, si era soliti sentire questa interiezione pure sulla bocca dei politici, inshallah, se Dio vuole o a Dio piacendo, prima di tutte quelle azioni e progetti da realizzare in futuro. Non è questo un richiamo anche per noi cristiani, a rimettere al centro Dio e non trastullarsi nelle varie mondanità, illudendoci del contrario? Ma noi, trovandoci in una società che non dà importanza alle Scritture, cerchiamo e non troviamo, ancora, solo la causa umana prima del male. Così rimane l’interrogativo di fondo: 'Perché tutto questo?'. È logico che ognuno darà la sua risposta sulla base della propria convinzione e fede. Ma è proprio questa domanda ultima che dovremmo porci!… «Ora invece vi vantate nella vostra arroganza; ogni vanto di questo genere è iniquo...». Ricordiamocelo e facciamone tesoro. Che il Signore ci aiuti.

padre Giovanni Belloni


Queste lettere confermano la bellezza e la varietà dei pensieri, dei timbri di voce e delle preoccupazioni dei nostri amici lettori nonché una comune e acuta sensibilità umana e cristiana. Mi fa davvero felice poter 'ascoltare' voci così, che mi sembrano, nella loro diversità, molto in sintonia con il modo con cui 'Avvenire' sta raccontando e interpretando gli strani giorni del coronavirus in Italia e nel mondo. Perciò, qui, più che risposte offro una piccola serie di annotazioni sulle prime due e sull’ultima. La prima nota è sul 'sorriso' del signor Bebber, che trovo gentile e luminoso: «Per la prima volta sento qualcuno che si lamenta 'perché la Messa non c’è'. Ho pensato che il Padre Eterno vuole farcele provare proprio tutte…». L’ho collocata in pagina come una risposta preventiva alla suggestiva lettera seguente, quella del lettore Bernieri. Al quale dico due cose. Innanzitutto che non ho certezze su cosa concluderemo, alla fine di questa storia, sul piano sanitario. E cioè se alle persone fragili avrà fatto più male, sino a concorrere in alcuni casi alla loro morte, il virus atteso dell’influenza di stagione oppure l’inquietante (perché sinora sconosciuto e non vaccinabile) nuovo coronavirus. Personalmente, però, credo che anche questo dubbio dovrebbe indurre chi fa il mio mestiere a sobrietà di titoli e commenti e a estrema cura nella scelta degli 'ingredienti' delle cronache. La linea del nostro giornale è, comunque, questa. Ma vorrei anche ragionare sul una presunta «paura» di celebrar Messa. Non mi risulta affatto. Mi risulta invece una preoccupazione diversa di vescovi e sacerdoti, non certo per se stessi: quella di collaborare lealmente con le autorità pubbliche aderendo a una richiesta che non ha nulla di ideologico e anti-cristiano, ma anzi ha una motivazione solidale. Pensiamoci. Al caro padre Belloni dico semplicemente grazie per la sua condivisa riflessione dal «deserto » milanese. A Dio piacendo, ne usciremo presto. Speriamo migliori.

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