Vita da macachi (l’uomo resti uomo)
domenica 28 gennaio 2018

E la sfida da vincere La storia della cosiddetta 'clonazione' è più lunga di quanto si possa immaginare e ha avuto inizio, per quanto abbiamo di documentato, oltre cent’anni fa con gli esperimenti di Driesch sui ricci di mare. Dopo l’utilizzo di salamandre e rane, una lunga serie di procedure sperimentali è stata applicata anche a mammiferi. Si potrebbe pensare che i progressi dei nostri giorni siano esclusivo esito di grandi scoperte tecnico-scientifiche. In realtà le procedure usate sono solo variazioni della tecnica di 'nuclear transfer' (Nt) usata negli anni 50 del Novecento da Briggs e King sulle rane. Conoscendo le grandi capacità di questi ricercatori non è difficile ipotizzare che gli stessi sarebbero stati in grado di sperimentare efficacemente su mammiferi e anche su primati. Molto probabilmente ciò non è avvenuto grazie alla coscienza etica di questi ricercatori e della società di allora, che non avrebbe accolto come lecite tali sperimentazioni.

Con le procedure di Nt da cellule embrionali nel 1997 sono stati clonati 29 embrioni dai quali sono nate due scimmie chiamate Neti e Ditto. Nel 2009 con Nt da cellule somatiche è stata data alla luce una capra di una specie estinta, che è morta subito dopo la nascita per gravi difetti polmonari. Nel 2013 un gruppo di ricercatori sviluppò il primo embrione umano con lo scopo di ottenere linee cellulari di staminali embrionali. La sfida importante di utilizzare Nt con cellule somatiche, vinta nel 1996 con la pecora Dolly, è continuata tra ricercatori nel tentativo di applicarla ai primati e con la prospettiva non negata di una possibile loro applicazione anche sull’uomo. Di fronte agli scarsi risultati, nel 2010 con una desolata dichiarazione alcuni autorevoli ricercatori statunitensi resero noto che il loro team per diversi anni aveva impiantato centinaia di embrioni di scimmia clonati in laboratorio dai quali era stato possibile lo sviluppo di un solo embrione, morto dopo 60 giorni. Oggi per far nascere in Cina due esemplari di 'Macacus fascicularis' ai quali è stato dato il nome di 'Nazione' e 'Popolo', sono state necessari 79 embrioni (per limitarsi a quelli trasferiti, ma quelli formati sono 301), 21 madri surrogate e 6 gravidanze.

Un passo avanti se paragonato all’ecatombe di 277 embrioni che sono stati necessari per far nascere la famosa pecora Dolly, morta tra sofferenze causate da patologie probabilmente dovute al suo stato di 'clone'. Speriamo che Nazione e Popolo non facciano la stessa fine. Sarebbe anche interessante sapere cosa pensano alcuni animalisti di questi progressi... Il successo oggi ottenuto (che utilizza ancora una procedura primitiva e inefficiente) è stato possibile presumibilmente per due fattori: l’utilizzo di Nt con fibroblasti embrionali e di due molecole in grado di aiutare lo sviluppo di questa blastocisti 'innaturale'. In coda alla procedura descritta non manca, ovviamente, la grande motivazione 'umanitaria': si ritiene e si sottolinea, infatti, che questa sperimentazione possa rivelarsi di grande rilievo per il futuro sviluppo di 'cloni' di primati da utilizzare (resta da capire come) per studiare patologie umane con difetti genetici, indagarne i meccanismi e testare potenziali soluzioni terapeutiche. In questa corsa sembrano esserci rimasti male alcuni scienziati, soprattutto anglosassoni, che cercavano di arrivare primi e che si sono quindi precipitati a raffreddare l’entusiasmo sostenendo, per l’appunto, che si tratta di una tecnica ancora molto inefficiente.

C’è solo da sperare che questo biasimo della tecnica non sia da intendere nel senso che quando sarà più efficiente la potremo applicare all’uomo. È fuor di dubbio che notizie come quella giunta mercoledì sera dalla Cina siano anche ricche di fascino, ma nel contempo esse suscitano gravi perplessità e molti interrogativi perché, come saggiamente scriveva Romano Guardini, «la scienza e la tecnica hanno reso le energie della natura e quelle dell’uomo disponibili a un tale grado che possono avvenire distruzioni di proporzioni imprevedibili». Per non correre questo rischio non si deve legare le mani e imbavagliare la scienza o la tecnologia per ridurne il potere, ma tenere alta e desta la coscienza del valore della persona umana perché, come ancora ha profeticamente scritto Guardini (in 'La fine dell’epoca moderna. Il Potere'), «il senso centrale di questa epoca sarà il dovere di ordinare il potere in modo che l’uomo, facendone uso, possa rimanere uomo».

*Università di Milano

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