martedì 21 agosto 2012
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​Caro direttore,
tornano a Londra da una breve vacanza in Italia ed è la prima parola che mi buttano addosso, con un sorriso agrodolce: «Sapessi che bel sole che ho trovato in Italia... Bello era solo il sole, però». Marisa addirittura ti investe: «Lì, da noi, la musica è sempre la stessa: non cambia nulla!». Un’altra simpatica ragazza di Piacenza, nella città del Tamigi da quattro anni, è stata dai suoi. «Ho dato un saluto alla mamma, poi dopo solo tre giorni sono scappata via». Sbottano, come in coro: in Italia è sempre tutto uguale, non si muove niente... Tornano qui, i giovani, e hanno la faccia di chi ha visitato un mondo ingessato. Anche se le insegne, a volte, sono modernissime. Un missionario impegnato in Brasile, che incontro casualmente all’anticamera del vescovo, mi confessa: «Sai, ho trovato l’Italia proprio immobile!». Ho occasione di ritrovarmi con un vescovo emerito, piemontese, dallo sguardo sereno, il profilo ascetico, il tratto dolcissimo: «In Italia – mi fa, con una malinconia interiore che commuove – siamo senza uomini di visione, sai... Non c’è chi sappia guardare e far guardare avanti... È sempre la solita "gestione"». Sembra di assistere al tramonto di un mondo. Cullato per decenni dal benessere, raccontato a senso unico da televisioni dominate da pseudo-valori, da una voglia folle di divertirsi e di "stare bene", dalla continua sfilata delle veline... E mi chiedo come mai la nostra terra si sia data questo destino oscuro: rendere infelice la sua parte migliore, i suoi giovani. Fino a vederseli sfuggire di mano, sfiduciati, colpiti da un male nascosto. Proprio come la marea di italiani di sessant’anni fa. Emigranti. Uomini e donne partiti alla disperata. Un braccio amputato di un corpo. E tutto perché non si sa pensare e puntare sull’avvenire, la ricerca, i giovani. Perché non si vede che la casa brucia, e che l’esca è l’egoismo sociale e i suoi imperanti eroi negativi. Corruzione, evasione e illegalità rendono irrespirabile l’aria, e offuscano gli orizzonti dei nostri giovani. Non abbiamo al timone uomini di visione e di entusiasmo. Siamo all’incapacità di portarsi super partes, oltre lo spirito feudale che separa i guelfi dai ghibellini, il nostro piccolo mondo in corporazioni chiuse. «Sarei certo di cambiare la mia vita, se potessi cominciare a dire noi!», cantava un tempo Giorgio Gaber. Così appare dall’estero la nostra terra: un mondo che perde i suoi giovani. Perdiamo il "senso del tempo", nel quale si costruisce insieme a più mani una storia nuova. E restiamo solo col "senso dello spazio": ma chi lo adora cristallizza e disumanizza i rapporti, lo straniero è ridotto a un ospite mal sopportato, ognuno si impanca da padrone di casa.Nel successo di London 2012 c’è, però, un fatto nuovo che parla anche a noi italiani: i giovani inglesi. Le Olimpiadi sono state un motore, uno stimolo potente per la gioventù inglese di tutte le razze nel coltivare lo sport. Dappertutto un logo ne indicava il senso: «Inspired generation». Così è nella vita di milioni di giovani persone di ogni origine che vivono in Gran Bretagna: ispirati, invitati come per un grande ideale, a usare bene il corpo, il talento, lo spirito di competizione, il «to be proud» (l’essere fieri). Già, le migliaia di giovani volontari impegnati per rendere possibili i Giochi si sono rivelati – tra emulazione e slancio civico – una sfida particolarmente riuscita, un motivo di fierezza pari a quello dei tanti atleti inglesi premiati con una medaglia. Questi ultimi non riceveranno 140mila euro di compenso, come i loro colleghi italiani. Solo il sorriso della regina. Fieri, in fondo, delle loro abilità e di appartenere a un mondo dai tanti volti, dalle tante culture differenti. «Inspired generation».
Renato Zilio, missionario a Londra
 
Davvero interessante, e stimolante, caro padre Renato. Anche se sappiamo bene che pure in Gran Bretagna e a Londra non sono tutte rose e fiori. Eppure, per stare al nostro Paese, è vero, verissimo, e ne abbiamo scritto a più riprese, che si rischia fortemente di fare nuovamente dell’Italia una terra destinata a «perdere i suoi giovani». Il premier Mario Monti è tornato a parlarne, domenica al Meeting di Rimini, con una passione e una lucidità notevoli. L’Italia rischia davvero di essere una patria avara di futuro che lesina spazi alle nuove generazioni e non dà loro occasioni. Una nazione che – con crescente e deteriore provincialismo – vive con così poca consapevolezza (e dimostra di stimare così poco) la propria straordinaria cultura da non riuscire a credere che questa possa accomunare e valorizzare, come è spesso accaduto nella nostra storia di popolo, vecchie e nuove diversità. Ma nessuno può rassegnarsi o lavarsene le mani. E noi – da cattolici e, dunque, da essenziali "soci fondatori" di questo Paese e di questa cultura – men che meno.
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