sabato 29 ottobre 2011
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Con la crisi internazionale che si prolunga ormai da diversi anni, le condizioni stesse dello sviluppo economico e sociale vanno cambiando in profondità e, probabilmente, in modo irreversibile. Per quanto ci si affanni a scorgere i segni della "ripresa", l’uscita dal tunnel nel quale si trova l’economia mondiale non si riesce a vedere. Solo una grande stagione di innovazione potrà portarci in salvo. Le difficoltà nascono dal paradosso nel quale si trovano i Paesi occidentali: dopo aver dominato l’intero scenario globale e aver dato vita a una grande fase espansiva durata tre decenni, questi stessi Paesi si ritrovano in profonda crisi: sommersi dai debiti – privati e pubblici – e segnati da livelli di disuguaglianza molto pesanti. Qualcosa, evidentemente, non ha funzionato. Nel dibattito internazionale si va ormai rafforzando la consapevolezza che la finanziarizzazione dell’economia globale sia responsabile di una crescita squilibrata che ha dimenticato la lezione che la Grande Depressione aveva insegnato. E cioè che la crescita economica, per essere stabile, ha bisogno dello sviluppo sociale. Separare, come è stato fatto in questi anni, l’economia dalla società in nome di un "tecnicismo fideista" espone a gravi rischi. Che la crisi puntualmente ha portato alla ribalta. Così oggi siamo letteralmente imprigionati dentro una trappola: da un lato, occorrerebbe sostenere la domanda con politiche espansive; dall’altro lato, ciò comporterebbe un peggioramento dei conti pubblici a breve termine, strada che nessun politico si sente di battere rischiando la bocciatura dei mercati. All’interno delle categorie prevalenti nel modello di sviluppo ancora oggi dominante non c’è soluzione. Per uscire da questo circolo vizioso occorre cambiare prospettiva e decidere di prendere, appunto, la strada difficile, ma necessaria, dell’innovazione.Un prezioso contributo viene da Michael Porter, guru del pensiero manageriale internazionale, il quale opportunamente ha cominciato a parlare di «valore condiviso». In sostanza, per reggere la concorrenza nel mondo così come oggi è configurato, occorre creare nuove forme di collaborazione efficaci tra le imprese (che costituiscono i soggetti centrali dello sviluppo economico), l’amministrazione (a cui è affidato un compito fondamentale nella prestazione di alcuni servizi di contesto e nel gestire la politica estera) e la società civile (vera fonte dell’energia che sostiene lo sviluppo, che non può più limitarsi a reclamare diritti, senza mai assumersi responsabilità attive). In un’economia radicalmente aperta, il valore e la ricchezza possono fiorire – riducendone la volatilità – solo attraverso il contributo di tutti e tre questi attori, ciascuno dei quali apporta un contributo prezioso alla creazione di condizioni favorevoli allo sviluppo. La nuova parola chiave è, dunque, "alleanza". Nel mondo dei liberi si può stare insieme senza soccombere alla concorrenza e alla disgregazione solo se si entra in un nuovo spirito di cooperazione. Non si tratta di volgere indietro le lancette della storia. Le vecchie soluzioni non funzionano più. Si tratta, piuttosto, di avere il coraggio di creare nuove forme istituzionali – articolate, plurali e flessibili – in grado non solo di mobilitare energie e risorse, ma anche di rinsaldare legami sociali e significati condivisi. Solo a questa condizione diviene possibile riavviare un ciclo di crescita che sia capace di far cessare lo spreco, l’ingiustizia e il non-senso in nome e per conto di un nuovo modello di sviluppo capace di sanare le vistose contraddizioni che la fase storica alle nostre spalle ci lascia in eredità. È in questo senso che si può parlare di "nuovo spirito di alleanza". Di fronte a un mondo in ebollizione, contraddittorio, multiculturale, appesantito dai debiti accumulati e privo di un orientamento preciso, una cosa appare chiara: solo i territori e le comunità che saranno capaci di ritrovare ragioni e strumenti di ricomposizione potranno solcare con successo il mare della "seconda globalizzazione".
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