L’economia reale e il virus di Wall Street
mercoledì 13 maggio 2020

Il virus ci impone e forse ci insegna un nuovo modo di abitare la distanza.

Dal metro in più della vita quotidiana, costretti come siamo a ridefinire il galateo della prossimità, allo spazio siderale che ormai divide finanza ed economia reale. La distanza tra i 'soldi per fare altri soldi' (e che finiscono spesso in poche mani) e i quattrini come indispensabile leva per chi produce e lavora. Finanza derivata, immateriale e sintetica la prima; ben agganciata alla materialità naturale dell’economia la seconda, soprattutto quando impegna le risorse seguendo criteri ambientali e a impatto sociale. Entrambe digitali, certo.

Ma tra speculare e investire c’è una bella differenza. Determinata proprio dall’oceano che separa l’utilizzo degli strumenti finanziari, pur sempre un mezzo, al fine ultimo per il quale dovrebbero essere utilizzati: creare valore nell’economia reale a partire dal lavoro.

È un tema ormai classico, questa differenza. Risalta a ogni inciampo del sistema capitalistico finanziarizzato. Con maggior nitore, a dire il vero, da quando 'il sistema' è stato irrorato con l’immensa massa monetaria generata dalle Banche centrali a partire dal 2008, dopo il crollo di Lehman Brothers e ciò che ne seguì. Da allora i mercati vivono in una sorta di bolla permanente. Perché molta di quella liquidità non ha bagnato le imprese: è rimasta finanza alchimistica in grado di gonfiare il valore delle azioni con operazioni di riacquisto, senza passare da lavoro e produzione. Un gioco di prestigio da casinò. E il principale responsabile dell’aumento delle disuguaglianze tra Wall Street e Main Street.

Guardiamo cos’è successo proprio a Wall Street, casa degli hedge funds: con tutte le perdite provocate dalla pandemia e le quotazioni del petrolio andate addirittura in negativo, il Dow Jones è sotto di appena di qualche punto rispetto ai massimi assoluti raggiunti a inizio anno.

L’indice S& P è salito in aprile del 12,7%, miglior mese dal 1987, mentre 30 milioni di americani chiedevano il sussidio di disoccupazione. Il Nasdaq? Già tornato a livelli record, anche se il Pil americano potrebbe crollare del 30% nel prossimo trimestre. Perché i valori delle società quotate sono completamente scollegati da qualsiasi parametro aziendale o macroeconomico. Nel complesso i mercati valgono oggi 90mila miliardi di dollari, un terzo dei quali – buona cosa – sono investiti in chiave sostenibile.

Accanto però ci sono i 50mila miliardi della cosiddetta 'finanza ombra', che non ha presa diretta sull’economia reale. Inutile confidare pertanto nei meccanismi di autoregolamentazione di un sistema autoreferenziale, una specie di mondo parallelo stile Matrix, dove i flussi di dati hanno perso aderenza con quanto è loro sotteso anche nel bel mezzo di uno choc pandemico. Proviamo invece a considerare chi abita quel sistema, i frequentatori in carne e ossa della matrice fuori controllo: è attraverso i trader che proprio qualcosa di invisibile – e per questo inquietante – come un virus potrebbe avere l’effetto collaterale di ridefinire una distanza diventata siderale.

Si tratta di un effetto collaterale soggettivo, in prima battuta, ma nulla vieta che possa alla lunga diventare sistemico. Molti operatori dei ' trading floor' vivevano fino a ieri in una dimensione parallela, solipsistica e alienante. Ora lavorano da casa, dove il coronavirus li ha confinati. Spesso immersi anche in relazioni fisiche mentre nuotano nel flusso di dati. La barba, forse, non è più rasata come da etichetta della City.

Durante la videoconferenza sbucano i figli, alle prese con i compiti, magari per chiedere cosa diavolo sia una preposizione articolata. Nel reale parallelo della finanza irrompe cioè la realtà della vita quotidiana: sono la voce di un vicino oltre la parete o il rumore della lavatrice a 'rimettere l’uomo al centro'.

Capita in molte professioni, di questi tempi. Succede al terapeuta obbligato a ridefinire il setting nel rapporto a distanza con il paziente. O alla professoressa che offre allo sguardo dei suoi studenti la libreria di casa. Per l’uomo di finanza, tuttavia, la ridefinizione della distanza con le ombre della sua caverna potrebbe esser decisamente perturbante. Uno vendita allo scoperto (il famigerato short selling) finita male perché l’acqua bolle e bisogna buttare gli spaghetti non riuscirà certo a bucare da sola il velo di Maya della turbofinanza. Ma i piccoli gesti hanno una forza dirompente, notava Saramago nel suo Saggio sulla lucidità:

«Sono le piccole crepe nella vernice delle convenzioni, e non le rivoluzioni spettacolari, che, con lentezza, ripetizione e costanza, finiscono per far crollare il più solido degli edifici sociali». Il Covid-19 non spaventa dunque il Sistema finanziario, dotato di una carica virale forse maggiore. Può invece intimorire gli uomini che lo abitano: per qualche settimana i trader hanno di fronte, oltre al solito monitor, uno specchio in cui vedere meglio sé stessi. E prendere coscienza, regalo inatteso dell’isolamento, di quanto siano in realtà lontani da questo mondo.

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