giovedì 20 febbraio 2014
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Caro direttore,
ti ricordi di Aristide? Vinse a Maratona contro i Persiani nel 490 avanti Cristo e dopo poco subì l’ostracismo. Durante la consultazione fatta per cacciarlo, venne avvicinato per strada da un tale che voleva liberarsene mettendo il nome di Aristide sul suo coccio (la scheda elettorale di allora), ma non sapeva scrivere. Volentieri Aristide diede l’aiuto richiesto. Poi chiese: «Ma tu, conosci questo Aristide? Hai ricevuto da lui qualche torto?» «Né l’una né l’altra cosa – rispose il cittadino analfabeta –, ma sono stanco di sentirlo chiamare "Aristide il Giusto"». Ho l’impressione che i nostri concittadini decidano ormai le loro scelte in base allo stesso senso di fastidio, epidermico e disinvolto, che animava lo sconosciuto ateniese. Il pallino della democrazia rimbalza, da qualche tempo, tra un nababbo spregiudicato, un comico spacca tutto e nuovi protagonisti che fanno concorrenza ai primi due. L’onda si sposta ogni volta vistosamente ed è arduo prevederne gli effetti a lungo termine. Ma le ultime vicende politiche mi suscitano un grande sconcerto. Lo manifesto pubblicamente perché, pur non avendo diretta responsabilità civile, svolgo da sempre un compito di educazione e – nel senso alto evocato da Paolo VI e tipico del mondo cattolico – di formazione "politica".
Proviamo a descrivere quanto, sotto gli occhi di tutti, è appena accaduto. Un giovane politico rampante convince il suo partito a far cadere il Governo in carica. Ragioni precise non ce ne sono. Le voci più sagge hanno detto e ripetuto che una fattiva stabilità politica è indispensabile in un momento di crisi economica, di emergenze internazionali, di tentazioni qualunquiste e catastrofiste. I conti delle amministrazioni pubbliche sono in sofferenza e qualunque Governo può percorrere solo una strada stretta. E, detto per inciso, non basta neppure un opuscolo sessual-demenziale spedito alle scuole per sfiduciare un Governo (come non basta il documento rozzamente ideologico di un Comitato per chiedere l’abolizione dell’Onu). Sono nate in questi giorni idee nuove che possano produrre di punto in bianco risultati miracolosi? Non mi pare. Ritrovo invece espressioni di sconcerto simile al mio in molti commenti politici. Poi però nessuno vuole eccedere, in attesa di vedere alla prova i sedicenti "innovatori". Io invece vorrei ascoltare una condanna più esplicita di questo irresponsabile assalto alle cosiddette stanze dei bottoni. Ricordo che anche il governo è parte delle istituzioni repubblicane. E che lo spettacolo di ambizioni personali perseguite a forza di sgambetti non vince l’antipolitica. Dà piuttosto spazio all’idea diseducativa che un "decisionismo populista" sia la strada per battere qualunque avversario. In questo modo si trasforma la politica in un "parco avventura", dove emozioni e applausi a poco prezzo sostituiscono riflessione e spirito di servizio. Urge richiamare questa nuova ondata di politici (uomini e donne), che vogliono guidare il cambiamento, a una maggiore serietà e ponderatezza. Al momento, i figli non dimostrano di essere migliori dei loro padri.
don Sandro Lagomarsini
Gentile direttore, se una casa è incendiata e brucia, non si può trattare l’incendio con sufficienza, come se fosse un fuocherello da spegnere... all’antica! Si devono chiamare i pompieri, e se accorrono dei volontari a dare una mano non importa se hanno il patentino o meno. Vedo, invece, che si cerca di trovare il pelo nell’uovo per mettere in difficoltà chi si è buttato con generosità per cercare una via d’uscita. Dovrebbero essere tutti uniti a sostenere Matteo Renzi, dovrebbero aiutarlo a salvare l’Italia... Ma tanti dicono sempre no o si aggrappano alla forma o, e questo denota una grave forma di opportunismo e anche di vigliaccheria, si sfilano. Se ci fosse solo incenso da condividere, la fila sarebbe lunga; poiché c’è il rischio… chi me lo fa fare! Do un consiglio al futuro premier: cerchi di scoprire la formula della colla che tiene molti nostri parlamentari attaccati alla poltrona… altro che mille chiodi! È la migliore del mondo e se Renzi la brevettasse (con relativo antidoto), farebbe una fortuna!
Guglielmo Caleca, Milano
L’avvicinarsi della fase cruciale della crisi che sta portando al superamento del governo di necessità guidato da Enrico Letta e alla nascita del primo – e dichiaratamente più «politico» – esecutivo guidato da Matteo Renzi, continua a essere segnato dalle perplessità, dallo sconcerto e dalle amarezze suscitati da un passaggio maturato in modo repentino e duro. Per un verso – allo stato delle cose maggioritario – toni e preoccupazioni sono quelli che esprime il caro don Sandro Lagomarsini, con il saldo giudizio e la limpida schiettezza che gli sono propri (e che non solo gli abitanti della Val di Vara e di tutto lo Spezzino, ma anche i lettori di "Avvenire" conoscono bene da anni). Per un altro verso – minoritario eppure niente affatto irrilevante – l’ansia di «discontinuità» o, se si vuole, di «scollamento» da vecchi poltronismi, vecchi schemi e vecchi impacci è quella manifestata dal gentile signor Caleca. Mi colpisce come questi due sguardi, che sono mossi da attese e delusioni oggettivamente diverse, finiscano per mettere a fuoco lo stesso tipo di problema: da anni alle domande giuste che salgono dal Paese reale (più equità fiscale, sostegno alle famiglie, amicizia verso le imprese che "fabbricano" e valorizzano lavoro, esemplarità e sobrietà della classe politica...) vengono date o delle risposte sbagliate (e, almeno, una qualche scelta c’è) o delle non-risposte in molti modi travestite e in diversi casi oltraggiosamente provocatorie (ed è proprio questo che fa crescere l’onda dell’antipolitica). Mi pare che il presidente del Consiglio incaricato si stia dimostrando piuttosto consapevole di tutto questo, e anche dell’impatto non esattamente felice su tanta parte dell’opinione pubblica della sua precipitosa irruzione sulla scena di governo, senza passare prima da una prova elettorale. Renzi si è deliberatamente caricato di un gran peso sulle spalle e di una enorme responsabilità al cospetto degli italiani, e dovrà camminare con decisione e speditezza pur potendo contare solo sulle forze (parlamentari) che hanno in molti modi limitato l’azione di Letta. Con il suo impegno di governo dovrà dimostrare che si può andare lontano e bene, costruendo ulteriore unità attorno a obiettivi riformatori chiari, condivisibili e perciò largamente condivisi senza disperdere intenzioni ed energie e senza lasciarsi inchiodare in qualcuna delle trincee ideologiche care agli aggressivi portabandiera dello pseudo-progressismo. C’è tanto da fare: tagliare le pastoie che bloccano i "muscoli" dell’Italia (le famiglie, le reti sociali, la scuola, le imprese che costruiscono e condividono beni e futuro), spazzar via arroganze e inerzie di palazzo, dare trasparenza e asciuttezza alla struttura politica e istituzionale, bonificare spesa inutile e burocrazia irresponsabile, restituire equilibrio e sostenibilità a un sistema fiscale che oggi, purtroppo, umilia e demotiva gli onesti e i solidali... La storia di Renzi dice che il premier incaricato si è formato – e ha formato altri – al sole buono di una giusta, concreta e competente idea di «servizio», di una coraggiosa e saggia capacità di aprire e percorrere strade anche ardue, ma mai azzardate. Sarebbe ben strano se persone come don Sandro, e come tantissimi altri tra i nostri lettori, si attendessero da lui qualcosa di meno proprio ora, nell’impegno politico esercitato al massimo livello. I figli hanno l’occasione di ripetere e confermare il meglio di ciò che i padri hanno fatto, non sono affatto condannati a ripetere e amplificare gli errori.
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