sabato 30 giugno 2012
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La svolta finalmente c’è stata. Dopo ven­tiquattro vertici dedicati alla crisi eco­nomica internazionale e conclusisi con un nulla di fatto la notte di venerdì ha ribaltato ogni schema e fugato lo scetticismo della vi­gilia, dando vita a un’intesa sulla ricapitaliz­zazione diretta delle banche e sul ruolo del fondo salva-Stati con la Bce come agente, insieme a un patto per la crescita e il lavoro in grado di mobilitare oltre 120 miliardi di eu­ro. Sono in molti in queste ore a tradurre l’esi­to di quella che è stata una vera e propria maratona notturna conclusasi attorno alle 4 del mattino come una ruggente vittoria del­­l’Italia di Mario Monti sulla ostinata rigidità della Germania di Angela Merkel, sottoli­neando come alla innegabile débâcle tede­sca sul campo di calcio di Varsavia sia se­guita quella ben più mortificante della can­celliera al tavolo delle trattative.C’è senz’al­tro del vero in tutto ciò: benché nel carnie­re italiano non vi siano tutti gli obbiettivi che Monti si era prefissato, certamente il risul­tato di agganciare il fondo salva-Stati al mec­canismo anti-spread senza che ciò implichi per i Paesi "virtuosi" (e l’Italia che sta adem­piendo ai compiti prefissati è da conside­rarsi tale) una qualsiasi cessione di sovranità e tanto meno l’umiliante procedura di com­missariamento da parte della famigerata "trojka" – come sta accadendo in Grecia – è da reputarsi un successo. E considerata la grinta del guardiano di quella fortezza in cui si è aperta finalmente una breccia, un suc­cesso quasi rivoluzionario. Una svolta, ap­punto, nel profilo di un’Unione Europea che da almeno tre anni appariva strangolata co­me un Laocoonte dalle spire dei propri e­goismi di bandiera, dai veti incrociati, dalla paura soprattutto di affrontare la crisi con l’unica arma vera di cui disponeva, quella della capacità di intendersi sulle grandi e­mergenze. A questo notevole esito politico siamo giun­ti indubitabilmente grazie all’esperienza e alla tenacia del "tecnico" Mario Monti, al suo muoversi costantemente in un’ottica euro­pea e mai soltanto nazionale (e di fazione) e alla sua capacità di fabbricare ad hoc un’al­leanza con la Spagna del popolare Mariano Rajoy e un gioco di sponda con il presiden­te francese, il socialista François Hollande. S u questa base ha preso forza risolutiva la minaccia – felpata, com’è nel suo stile, ma non meno perentoria – di porre insieme a Madrid il veto al pacchetto sulla crescita se la Merkel non avesse accolto il meccanismo anti-spread. La cancelliera ha capitolato all’alba. Ed anche se nelle ore successive vi è stata da parte tedesca una guerricciola delle parole per minimizzare la portata degli accordi e sullo sfondo rimangono intatti problemi seri e irrisolti come gli eurobond e la Tobin Tax, è la stampa germanica in primis a fornire un verdetto eloquente: «La sconfitta della Merkel in una notte storica», ha titolato l’influente Die Welt, mentre Der Spiegel impietosamente ha scritto: «L’Italia si è imposta in una lunga notte di trattative e la cancelliera si piega». Tuttavia non ha senso a nostro avviso ridurre il vertice di Bruxelles a una mera sfida tra Italia e Germania. La sfida semmai stava fra il bene comune e quello che Guicciardini chiamava il 'particulare', fra l’idea di una Casa Europa e quella di un club di nazioni ciascuna indifferente alla sorte altrui. E se pure è comprensibile che la Germania si senta in parte defraudata dalla scarsa diligenza dei Paesi meno virtuosi, è altrettanto vero che correre in loro soccorso, partecipare a una crescita comune, fornire soluzioni e non soltanto veti e divieti è parte viva di ciò che ci ostiniamo a chiamare Unione Europea. Ha ragione in questo senso il premier britannico Cameron, quando dice, a conclusione del vertice: «A Merkel si chiedevano difficili decisioni politiche. A volte è incredibilmente difficile prendere le decisioni giuste, ma ieri finalmente le abbiamo prese». «Non ci sono vincitori e vinti – ha concluso il presidente Van Rompuy –, noi continueremo sempre ad applicare un approccio di responsabilità e solidarietà». Ma è un fatto: per un istante, che speriamo possa durare, quella di ieri è sembrata davvero un’altra Europa. Solo così non ci saranno vinti, ma solo vincitori.
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