E ora a Caracas accelera la «frana alla moviola»
sabato 26 gennaio 2019

Due presidenti, due blocchi internazionali, nessun governo. Perché l’attore decisivo – l’esercito – non si è ancora pronunciato, al di là delle dichiarazioni formali.
Il potere di Nicolás Maduro si è andato sfilacciando negli ultimi tre anni e mezzo. La forza centrifuga della «frana alla moviola» – insolita per una nazione al tracollo – ha provocato due sussulti importanti con le proteste di febbraio 2015 e dell’estate 2017. Con l’autoproclamazione di Juan Guaidó a «presidente legittimo» sembra, tuttavia, profilarsi un salto di qualità. Per l’eco globale suscitata dall’affaire Caracas. Un Donald Trump in affanno pare voler rimpiazzare il muro anti-immigrati con "il martello" sul Venezuela. Russia e Cina non sono disposte a perdere l’influenza, acquistata a caro prezzo, sul Paese. Dopo il "duello" in Consiglio di sicurezza tra Washington e Mosca, alcuni parlano di una riedizione della Guerra Fredda. La partita, ancora una volta, si giocherebbe sulla pelle dell’America Latina. In uno dei momenti più delicati per la regione e le sue democrazie, alle prese con la prima, reale «crisi di crescita».

Non sono solo le involuzioni in corso in Venezuela e Nicaragua a preoccupare. Dall’Honduras al Guatemala, dal Brasile alla Colombia, spuntano "uomini forti", abili nel cavalcare il discredito delle istituzioni per proporre "cesure", più o meno discutibili. Spesso, con l’acqua sporca della corruzione, si rischia di buttare via il "bambino" – data la tardiva affermazione nel Continente – della democrazia. In questo scenario complesso, si colloca l’iniziativa dell’Unione Europea, la quale – trainata dalla Spagna – ha lanciato un perentorio ultimatum a Maduro. Madrid – prima con la sfortunata mediazione di Zapatero ora con Sánchez – cerca da tempo di ritagliarsi un ruolo. A differenza dell’Italia, nonostante quasi il 7% della popolazione venezuelana discenda da connazionali. Il nostro governo si è diviso seguendo le due anime della maggioranza parlamentare e solo buon ultimo sembra essersi accodato con qualche distinguo al fronte Ue. Anche il Messico ha provato a giocare la sua carta. Insieme all’Uruguay, il Paese è stato l’unico della regione a mantenere un canale aperto con Maduro. Una via di comunicazione che potrebbe rivelarsi interessante per la comunità internazionale.

La battaglia più dura, però, si combatte all’interno, nelle caserme di Caracas. Guaidó ha chiamato i suoi a una maratona di «sensibilizzazione» sui militari vicini, per far conoscere la proposta di amnistia concessa dal nuovo governo a chi abbandoni Maduro. La mossa è audace. Gli esiti potrebbero, però, essere imprevedibili. Il numero due del chavismo, il "falco" Diosdado Cabello, la cui influenza sulle Forze armate è indubbia, sa che difficilmente beneficerebbe dell’immunità. Potrebbe, così, approfittare dell’occasione per tagliare fuori l’indebolito Maduro, eterno antagonista. E prendere il potere. Con esiti inquietanti per chi crede nel diritto alla democrazia dell’America Latina, non come sistema imposto da fuori, bensì percorso – a volte difficile, mai lineare – dei suoi popoli. In queste ore convulse, continua a risuonare nel Continente, l’invito rivolto a Natale da papa Francesco a fare ogni sforzo per trovare uno spiraglio di dialogo ed evitare la catastrofe.

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