E Dio sotto i nostri occhi continua a morire
giovedì 14 aprile 2022

Annichilito e depresso, ti vedo pendere dalla croce. No, non mi viene facile farfugliare preghiere e devozioni. Quel legno ruvido e nodoso, quei grossi chiodi arrugginiti, mi spaventano. Perché lo hai fatto? Lo so, me lo hai detto tante volte, per amore. Ma non c’era un altro modo per dirmi che mi ami? No, l’amore vero sente il bisogno di spogliarsi di tutto, senza rimpianti, senza riserve, senza misura.

Povero Ario. Fin da quando l’ho incontrato nei libri di teologia, ho provato per lui una istintiva tenerezza. Non era cattivo, intendeva solo difendere il “suo” Dio. Una persona - pensava - che accetta di essere derisa, flagellata, sputacchiata in viso e non fulmina i blasfemi non può essere Dio. Poveri ariani dei secoli passati e di quelli che verranno, non avete tutti i torti.

Se la Chiesa non fosse stata illuminata e guidata dallo Spirito Santo, ce l’avreste quasi fatta a convincere il mondo che Gesù di Nazaret era un grande uomo, un ottimo profeta, un ingenuo sognatore, ma non “Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero”. Era più logico, più normale, più sostenibile. Ma non era la verità. Di uomini buoni e generosi la terra ne ha conosciuti tanti. Cristo è un’altra cosa.

La fede ci sfida a credere oggi che quella sorta di pupazzo martoriato, nudo come un verme, che, svilito, si accascia sulla croce è veramente Dio. È difficile, mi dici. Hai ragione, ti rispondo. Ci sta chiedendo troppo, aggiungi. È vero, ammetto. Dio è morto. Allora. E oggi? Sotto i nostri occhi, continua a morire. Negli innocenti trascinati in questa guerra “disumana e sacrilega”, nei bambini stuprati dagli adulti, nelle donne schiavizzate, nei profughi e negli immigrati, Dio continua a morire.

Ma, allora, con lui è morta anche la speranza? No, proprio in quella morte, come nel più fertile terreno, essa affonda le radici. Quante volte, nelle lunghe notti insonni, nei momenti di sconforto, mi sono permesso di dirti che, in fondo, la colpa è tua. Certo, perché ad impastare questo strano e saporitissimo pane che siamo, sei stato tu. Tu hai voluto donarci, senza badare a spese, l’inestinguibile fuoco della libertà. Avremmo potuto, con essa, arrivare al settimo cielo, ce ne siamo serviti tante volte per sprofondare nei più cupi abissi. E tu? Ti sei forse arreso? Hai cambiato idea quando, in un solo anno, abbiamo annientato quasi 50 milioni di esseri umani, dolcissimi, tenerissimi, piccoli, indifesi, belli da morire mentre continuavamo a blaterare che “la bellezza salverà il mondo”? Erano vivi nel grembo delle mamme, li abbiamo fatti fuori come carne da macello. Ma “un delitto non potrà mai diventare un diritto” avvertì san Giovanni Paolo II.

Credo di poter avere facile accesso al tuo perdono se oggi ti spalanco il cuore senza timore, senza vergogna, senza reticenza. Dimmi, come fai a continuare a fidarti di me? Quante volte ancora dovrò tradire la tua fiducia prima che la tua pazienza dia un segno di stanchezza? Sostienimi, ti prego. Aiutami a non barare, a non impazzire, a non sciupare il tempo e i carismi ricevuti. “Non c’è niente di meglio che possono fare i nostri occhi in queste ore che leggere la passione di nostro Signore Gesù Cristo”. L’ho fatto. Ancora una volta, l’ho fatto.

E, come sempre, mi ritrovo col cuore che si mette a galoppare come un puledro impazzito. Non mi addolcisce la lettura della tua passione. Al contrario, mi annichilisce, mi mette in subbuglio, mi fa soffrire. Possibile che tutte le miserie umane si siano date appuntamento sulla via del calvario? Che i codardi, i traditori, gli ignavi, gli arrivisti, gli sciacalli di tutti i tempi si siano ritrovati presso di te? E mi accorgo con terrore che tra essi ci sono anch’io. E’ vero, tra tutti spiccava la tua mamma. Non ti lasciò un solo istante. Ma la sua presenza acuiva il tuo tormento, nei suoi occhi limpidissimi sentivi di affogare. Non ti possiamo rimproverare niente. Nessuno ti potrà dire: «Che ne sai tu che vuol dire soffrire la solitudine, l’umiliazione, il tradimento, lo spasimo fisico, psichico, morale?». Chi più di te ha sperimentato questi stati d’animo? Essere stato abbandonato dagli amici fu doloroso ma sopportabile. Indicibilmente lacerante fu l’abbandono – ma fu veramente tale? - di tuo Padre. Sulle tue fragili spalle gravavano tutti i peccati, di tutti gli uomini di tutti i tempi. Ritornano le vertigini! Tutto hai voluto assaporare. Finanche la morte. Peguy: «Che cosa deve essere stata la morte, la semplice morte. Anche Dio ha avuto paura della morte. Tristis usque ad mortem. Triste fino alla morte». Dodicesima stazione: Gesù muore in croce. Fermiamoci. Facciamo silenzio. Abbassiamo il capo. Chiediamo perdono. La nostra sorte è caduta in luoghi deliziosi.

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