Variante Zeta
martedì 23 agosto 2022

C’è qualcosa di cui con insistenza si tace, nel chiasso della campagna elettorale, nelle chiacchiere in spiaggia, qualcosa di cui perfino poco si parla su molti giornali, e in tv. C’è una bolla di silenzio sospesa nel nostro rumore quotidiano, forse anche più vivace in questa estate in cui, Covid o no, guerra o no, crisi o no, sembra che noi, e i turisti calati in abbondanza in Italia, ci siamo ripresi la voglia di vivere, di viaggiare, di pensare 'come prima'. Come prima della pandemia, come prima del 24 febbraio.

Questo qualcosa di innominato fra noi potremmo chiamarlo 'variante Zeta'. Zeta come Zaporizhzhia, la centrale occupata dai russi in Ucraina, che è di una potenza sei volte maggiore a quella di Chernobyl. Mercoledì su 'Avvenire' il nostro inviato Nello Scavo dava conto dell’approfondito colloquio con un ingegnere dell’impianto occupato: «Una bomba a orologeria», diceva l’uomo, protetto dall’anonimato, fornendo le controprove del suo allarme: sia per le criticità del raffreddamento del nucleo in caso di mancanza di elettricità, sia per la scarsità del personale rimasto a fare manutenzione – circa un decimo dell’organico, gli altri arrestati o fuggiti.

Giorni fa la Russia annunciava che in caso di incidente il fall out nucleare riguarderebbe non solo Ucraina e Russia, ma anche Polonia, Germania e Slovenia. Cioè, la soglia di casa nostra. Zelensky addirittura ha avvertito che un fall out riguarderebbe l’Europa intera: ma via, ci diciamo, è propaganda.

Perché Zaporizhzhia è in effetti da mesi al centro della propaganda di entrambe le parti contendenti: sembrano quasi, quei reattori, un ostaggio di Russia e Ucraina per minacciarsi a vicenda, e per minacciare il sempre più distratto Occidente. Con questa parola, 'propaganda', anche i lettori più attenti dei giornali tirano un po’ il fiato: via, ci sarà dell’esagerazione, si dicono, e voltano pagina (come se fosse davvero possibile, per i meno giovani, dimenticare l’incubo di Chernobyl).

Tuttavia, l’Onu è tornato a dire che urge controllare Zaporizhzhia, come del resto afferma da mesi l’Aiea, Agenzia internazionale per l’energia atomica.

Domenica questa urgenza è stata ribadita da Biden, Macron, Johnson e Scholz, insieme. Ma – pensa chi legge le notizie dall’Ucraina – non saranno né i russi né gli ucraini così folli, da farsi scoppiare una centrale nucleare in casa. Ragionevolmente no, certo; benché accada non raramente, e ancora di più nell’odio di una guerra, che gli uomini siano folli. Anzi, sotto questo aspetto il nucleo dei reattori di Zaporizhzhia ci preoccupa meno della testa di chi ha il potere di tagliare certe linee elettriche, di schiacciare certi bottoni.

A ogni modo, pure a volere essere ottimisti, una guerra attorno a una centrale nucleare è un affacciarsi su un baratro, in cui non si può essere certi di non cadere. E però, di quella «bomba a orologeria» fra noi si discute poco. I prezzi al super, il costo della benzina, l’ansia per un inverno al freddo: ma sulla variante Z quasi silenzio. È per via della logica dei siti web, in cui le notizie poco cliccate rapidamente decadono? Non molti ormai sullo smartphone cliccano Ucraina o Zaporizhzhia.

Dunque, ciò che non produce audience quasi scompare dai media. L’attenzione degli occidentali è breve e questa guerra è lunga: che ci siamo già stancati? A grandi linee lo sappiamo che c’è, quella grande bomba potenziale a 2.700 chilometri da Roma. Ci ripetiamo: sono uomini anche quelli, non potrebbero mai – e passiamo oltre. Forse semplicemente perché un altro scenario drammatico dopo il Covid, dopo il 24 febbraio, ci è insostenibile.

Il mondo ci è cambiato sotto ai piedi in pochi mesi, siamo spaventati e stanchi. Vorremmo, magari, solo tornare a vivere come prima: come prima del 2020, quando ci lamentavamo 'solo' della crisi, dei governi, del carovita, della corruzione, della Borsa, di tutto – ma non ci rendevamo conto di avere comunque una casa, cibo, vestiti, cure sanitarie gratis, e anche molte cose non strettamente necessarie. Non ci rendevamo conto, poi, della fortuna di vivere in un Paese in pace da oltre settant’anni. E adesso, dopo 170mila e più morti di pandemia, di nuovo angoscia all’orizzonte? Forse cala sulle coscienze come un sipario di difesa, davanti a certe prospettive.

Un 'no': è estate, il mare è splendido, i nostri bambini sono meravigliosi, noi mangiamo bene e anche troppo, il Covid pare in declino. Vorremmo solo essere lasciati in pace. Come quando, dopo una brutta giornata, ci si butta sul divano e si va sul primo film leggero, per non pensare per un po’. Reattori nucleari, fall out, variante Zeta? Folle, impossibile – ma soprattutto, nulla ne vogliamo sapere. Eppure dobbiamo.

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