«Avvenire»: un anniversario che torna e il mandato montiniano che resta
martedì 10 dicembre 2019

Il 4 dicembre appena trascorso è il giorno in cui ogni anno 'Avvenire' festeggia la sua nascita, ricordando la pubblicazione del primo numero avvenuta proprio in questa data, nel 1968. Un compleanno che ricorda, in particolare, colui che di 'Avvenire' fu il vero fondatore e padre: papa Paolo VI. Com’è noto fu infatti san Paolo VI a progettare la realizzazione di un quotidiano cattolico nazionale e a operare con lungimiranza e determinazione nel far nascere e sostenere 'Avvenire', superando le perplessità di buona parte dell’episcopato italiano e intraprendendo una iniziativa editoriale di grandissimo spessore senza eguali nel panorama della stampa cattolica europea ed internazionale.

Sin dagli anni giovanili Giovanni Battista Montini, figlio di un giornalista, aveva frequentato il mondo della stampa, fondando egli stesso a Brescia un giornale per studenti universitari, 'La Fionda', e poi scrivendo centinaia di articoli per le riviste della Fuci. Negli anni in cui fu arcivescovo di Milano, Montini si interessò costantemente alle vicende del quotidiano cattolico della diocesi 'L’Italia', dalla cui unificazione con il bolognese 'L’Avvenire d’Italia' sarebbe nato 'Avvenire'.

È in questi anni che il futuro Paolo VI iniziò a prefigurare il ruolo di un quotidiano cattolico al quale sarebbe spettato il compito di seguire «con particolare interesse le vicende della nostra società in via di trasformazione, con l’intento di educare il nostro popolo al senso di giustizia e di carità e di favorire lo sviluppo economico e sociale, secondo gli insegnamenti della sociologia cristiana». Proprio un giornale cattolico avrebbe dovuto studiare e riflettere «i grandi problemi del nostro tempo» con la passione e la speranza «d’un progressivo ordine civile e cristiano». Il quotidiano cattolico «è insomma un giornale che cerca di affermarsi come testimonianza sincera e moderna d’un cattolicesimo vivo».

Ma Montini era ben consapevole delle difficoltà alle quali andava incontro una tale opera, e non le aveva nascoste a papa Giovanni XXIII, a cui parlò apertamente nel giugno del 1962, visitandolo insieme ai giornalisti de 'L’I-talia'. In quel discorso, poco ricordato, colui che esattamente un anno dopo, il 21 giugno 1963, sarebbe succeduto a papa Roncalli diceva al Pontefice come «la Vostra sapienza e la Vostra esperienza ben sanno quanto sia dura la vita d’un giornale cattolico: povero e privo di mezzi economici, ed isolato ed avversato per la stessa libertà e per la stessa franchezza, con cui serve la causa dei suoi principii e non altro; spesso incompreso, criticato e abbandonato da molti di quelli stessi, che avrebbero dovere e vantaggio a sostenerlo; impegnato alla scelta, si può dir quotidiana, dell’opinione ritenuta migliore, discutibile e anche talora fallibile, forse e perciò subito coinvolto in discussioni e in polemiche, e talora anche da amici e confratelli, ripreso ed offeso, il giornale cattolico è tentato di attribuire a sé le parole di San Paolo: 'foris pugnae, intus timores'» (lotte di fuori, apprensioni al di dentro).

Montini era però certo sin da allora che nessuna difficoltà avrebbe potuto arrestare coloro che erano gli artefici del giornale, sapendo «che la passione del giornale cattolico si consuma nell’animo del giornalista cattolico» poiché «tanto essa è in lui più intima e fiera quanto più grande è in lui l’amore che a questa militante e pericolosa professione lo spinge!». Con la stessa caparbietà Paolo VI, consapevole che non «serve dire quello che è vero, se gli uomini del nostro tempo non ci capiscono » (come aveva confidato a Jean Guittton già nel 1950), auspicò sin dall’inizio del suo pontificato un rinnovamento della stampa cattolica, chiamata a esercitare «una maggiore incidenza sulla pubblica opinione».

E in tal senso la nascita di 'Avvenire' – giornale che papa Montini, come confidò egli stesso, leggeva per primo al mattino e che non mancò di sostenere, anche concretamente in diverse circostanze – avrebbe rappresentato per il Papa un effettivo «strumento di evangelizzazione», la quale «porta con sé – spiegava – l’elevazione dell’uomo, ne promuove la dignità, la libertà, la grandezza». Per il Papa, che rivide personalmente le Linee programmatiche del quotidiano stabilite dalla Cei, 'Avvenire' avrebbe dovuto avere anche un carattere formativo (oltre che informativo) così da farne «uno strumento di vera crescita spirituale di tutto il popolo di Dio». Risvegliare la coscienza dei cattolici e recuperare una voce che sembrava appannata fu l’esplicito mandato che il Papa affidò ai rappresentati del 'suo' giornale durante la storica udienza del 27 novembre del 1971.

In tale delicato compito anche i giornalisti di 'Avvenire' vennero considerati «alleati del Papa» e «apostoli» nella società: «Dobbiamo avere una maggiore coesione fra di noi - concluse allora Paolo VI -, una maggiore coscienza che noi dobbiamo parlare, parlare insieme e non fare stridore di opinione molteplice e differente». A distanza di tempo, nel difficile compito di mediare tra formazione, informazione e realtà si svolge ancora oggi la sfida con la quale il giornale è quotidianamente chiamato a misurarsi.

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