giovedì 27 giugno 2013
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​L'azione del governo si svolge, com’è noto, in uno spazio assai ristretto, soprattutto per quel che riguarda l’impiego di risorse economiche scarse e condizionate dall’andamento di variabili esterne difficilmente controllabili. Se si tiene conto di questi vincoli, l’iniziativa che è stata avviata ieri, con il differimento dell’aumento dell’Iva e con alcune misure a favore dell’occupazione, specialmente (ma non solo) giovanile e meridionale, può essere considerata soddisfacente. Naturalmente si può sempre dire che non basta, che non si fanno le nozze con i fichi secchi, ma bisogna evitare che lo scetticismo, giustificato da tante delusioni precedenti, si trasformi in una sorta di nullismo paralizzante. Avere coscienza dei limiti e cercare di utilizzare fino in fondo gli spazi disponibili è un esercizio difficile, poco gratificante e faticoso, ma è esattamente quello che si può chiedere a un «governo di servizio», che non deve proporre uno schema politico, visto che quello su cui si basa è straordinario e in quanto tale provvisorio, ma soluzioni concrete a problemi concreti. Questo carattere necessariamente pragmatico, però, non esime dall’esigenza di esprimere, con le scelte che si compiono, una scala di priorità che ha oggettivamente un senso sociale e politico. Da questo punto di vista nei provvedimenti varati ieri ci sono elementi apprezzabili, sia nella parte di sostegno alle prospettive di occupazione delle fasce più deboli e di recupero di previdenze per i disabili e per i casi di maggiore povertà, sia nel rinvio dell’aumento dell’Iva. Aumentare le imposte indirette in una fase di recessione, peraltro, rischia di non produrre nemmeno l’aumento di entrate previsto, perché se si determina (com’è accaduto in altri Paesi come la Spagna) un’ulteriore riduzione dei consumi si ha un duplice effetto negativo anche sul piano delle entrate fiscali. È invece evidente come un aumento dei prezzi conseguente all’aumento dell’Iva peserebbe proporzionalmente di più sulle famiglie meno abbienti. Si tratta, per ora, solo di un breve rinvio dell’aggravio, ma se altre misure messe in atto, a cominciare dall’avvio del pagamento dei debiti delle amministrazioni pubbliche, avranno effetti positivi, è ragionevole pensare a una decisione successiva di maggiore impatto. Più complesso è prevedere gli effetti delle misure, sostanzialmente di defiscalizzazione, per l’occupazione. Il calcolo di 200mila nuovi posti di lavoro in un anno e mezzo è stato azzardato dal presidente del Consiglio Letta su suggerimento del ministro del Lavoro Giovannini, che si intende di statistiche, ma che forse stavolta ha peccato di ottimismo. Speriamo che i fatti gli diano ragione su tutto, anche sui numeri. Ma purtroppo la creazione di posti di lavoro dipende da molte variabili, alcune delle quali, come il tiraggio della domanda interna e internazionale, non possono essere previste con un minimo di attendibilità. Vero è, tuttavia, che tra queste variabili ce ne sono alcune su cui il governo può agire: il gravame fiscale e contributivo sul costo del lavoro e la qualità della formazione professionale sono, appunto, i terreni sui quali si è investito. Infine, ma non per ultimo, va considerato l’effetto che questo impegno del governo e della maggioranza (che, seppure tra le note e ritornanti tensioni, per ora fortunatamente sembra reggere) può esercitare nella difficile partita che l’Italia deve giocare al livello europeo, a cominciare dal vertice di fine mese. La scelta responsabile di rispettare i vincoli, cercando nel contempo di avviare un progetto nazionale per il lavoro giovanile, dovrebbe dare maggiore autorevolezza ai nostri rappresentanti e a chi, assieme a loro, si batte per mettere il lavoro al centro delle priorità continentali, superando la visione angusta di un rigore che si è trasformato gradualmente in un rigorismo che produce recessione. Anche su questo fronte è difficile aspettarsi risultati eclatanti a breve termine, ma è importante che si faccia fin d’ora tutto il possibile (e persino un po’ di più), con le carte in regola e con una visione della “crescita” necessaria finalmente condivisa.
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