martedì 19 giugno 2018
Caro direttore, mi permetto d’intrufolarmi nel dialogo pubblicato, domenica 10 giugno, nella rubrica 'Il Direttore risponde' con il collega Leonardo Eva...
Un’ora per discutere ma non di regole
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Caro direttore,
mi permetto d’intrufolarmi nel dialogo pubblicato, domenica 10 giugno, nella rubrica 'Il Direttore risponde' con il collega Leonardo Eva. E lo faccio con empatia, perché anch’io ho insegnato Italiano, Storia ed Educazione civica, e poi Storia e Filosofia e Pedagogia dal 1959 al 1971. Comincio ricordando che l’Assemblea Costituente, l’11 dicembre 1947, quasi al termine dei suoi lavori, votò con unanimi prolungati applausi l’odg firmato da Aldo Moro e altri, in cui si chiedeva: «che la Carta Costituzionale trovi senza indugio adeguato posto nel quadro didattico della scuola di ogni ordine e grado, al fine di rendere consapevole la giovane generazione delle raggiunte conquiste morali e sociali che costituiscono ormai sacro retaggio del popolo italiano». Quel giorno, ha scritto Mario Lodi, è nata la scuola della Repubblica italiana.

Moro non chiedeva che «si passasse un’ora in più a parlare di regole», come dice il collega Eva, che si è fatto un’idea non proprio esaltante della Costituzione e del suo potenziale educativo e creativo. Platone, Dante e tutto il ben di Dio della nostra storia di scienze, lettere e arti facevano parte anche dei programmi della scuola fascista, quando si pretendeva che si studiasse per «credere obbedire combattere», dato che il Duce aveva «sempre ragione».

Ma i valori della nostra composita, limpida e anche torbida civiltà ebraico greco romano cristiana, illuministica, personalistica e sociale non erano passati invano nelle memorie e nelle coscienze di quei giovani che affrontarono la Resistenza. Anche per il loro sacrificio si arrivò alla Costituzione. L’indugio, paventato da Moro, fu superato dieci anni dopo, il 13 giugno 1958, giusto 60 anni fa, quando, divenuto ministro della Pubblica Istruzione, emanò con Gronchi il dpr che integrava i programmi di insegnamento della Storia negli istituti e scuole di istruzione secondaria e artistica con i «programmi di Educazione civica». Il posto trovato nella scuola, era scarso, ma quanto di meglio si potesse fare, in quel contesto postbellico. Venne il fatidico ’68. Il 6 aprile scrissi sulla mia agenda: «Gruppo con studenti per leggere i programmi di studio dei licei classico, scientifico, magistrale. Conclusione: si possono applicare in modo intelligente. Il programma di Educazione Civica è stato innestato su un tronco vecchio.

Ma è l’idea nuova per cui battersi (adempimento della legge!). Oggi 18 ore l’anno sono rubate all’educazione civica. Occorre chiederne ragione ai consigli di classe». Sono 50 anni che cerco di rendere questa 'nuova idea' comprensibile, amabile, praticabile come luce orientante dei curricoli e insieme alimentabile col meglio di tutte le discipline scolastiche. Ho presieduto quattro gruppi di lavoro istituiti da diversi ministri, oltre al Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione, ricominciando ogni volta il discorso da capo, con approcci, temi, nomi, leggi, norme applicative, 'sperimentazioni' diverse.

A proposito: la legge in vigore (n.169 del 2018) parla di «conoscenze e competenze relative a cittadinanza e Costituzione nell’ambito delle aree storico geografica e storico sociale», non della sola cittadinanza, né di generica 'trasversalità' di questi temi, ossia di facoltatività superflua. Nonostante le ambiguità ministeriali, c’è un patrimonio di esperti e docenti di varie discipline, di documenti ufficiali e di studi, di esperienze e di 'buone pratiche', che consente di affrontare credibilmente i problemi impostati e chiariti, anche se non sempre risolti, neppure da Gesù e da Socrate. I quali, fra l’altro, non sempre sono riusciti a «trovare il tempo per far lezione con tranquillità», come richiede Eva. Ho citato il ’68. Dieci anni dopo fu assassinato Aldo Moro. È inquietante e non infondato pensare che se i brigatisti che compirono quel misfatto, nella distorta convinzione che servisse a rovesciare un sistema politico ritenuto altrimenti ingiusto e immodificabile, avessero studiato e capito la Costituzione, che il ministro Aldo Moro aveva introdotto nella scuola nel 1958, quel delitto non si sarebbe compiuto vent’anni dopo.

Credo che l’intera società, insieme alla Famiglia Moro, debba essere in qualche modo risarcita per la debolezza con cui si è affrontata nelle scuole l’Educazione civica, fino a farla tacitamente scivolare fuori dal curricolo. Don Milani scrisse nella Lettera a una professoressa: «Voi avete più in onore la grammatica che la Costituzione». Quest’anno si sono commemorati ufficialmente al Miur e nella scuola italiana sia Moro sia don Milani. Ma il loro pensiero e la loro testimonianza devono essere più profondamente compresi e messi in pratica. Diverse iniziative riscoprono in questi mesi il valore pedagogico della Costituzione e chiedono che sia ricuperato con legge di iniziativa popolare il profilo culturale e motivazionale per l’educazione civica previsto da Moro. Si tratta di un albero frondoso, ma con radici ampie e robuste. Va coltivato e potato con cura, anche dai docenti.

Professore emerito di Pedagogia generale, Università di Roma Tre

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