Universale e accessibile, la Sanità che parla di noi
martedì 13 luglio 2021

Cosa rende "grande" un Paese? Cosa lo fa civile, accogliente, abitato non solo come luogo geografico ma perché comunità di vita e valori? È bene chiederselo, per non perdere la consapevolezza di chi siamo e di cosa ci unisce. Può essere, a chiedere di rifletterci, un trionfo sportivo. Come la Coppa Europa alzata al cielo per la forza di una squadra divenuta sotto i nostri occhi comunità di intenti, nutrita di tenacia, pazienza, fantasia: le stesse virtù che insieme a una straordinaria capacità di resistere alla sofferenza hanno consentito al Paese di superare la parte più dura della pandemia. Ci siamo come riconosciuti in questa Nazionale, e la Nazionale nell’Italia di cui è simbolo. Forse in questo sta il segreto per saper raggiungere quel centimetro in più di terreno rispetto ad avversari persino più forti. La grandezza qui non sta in un trofeo, ma in ciò cui rimanda la sua conquista.

E non è forse grandezza anche vedere che in mezzo a tanta indifferenza parolaia dei vicini di continente sappiamo fare sempre la nostra parte – concreta e solidale – nel dare un approdo a chi fugge da miseria, disperazione e violenza? Non si è grandi pure nel sapersi prodigare senza esitazioni per chi soffre, com’è stato stile diffuso durante tutta l’emergenza Covid? Ci fa bene fermarci a considerare questo profilo di un intero popolo che, malgrado ogni tentativo in senso opposto, continua nel suo profondo a riconoscersi in un dizionario del bene altrui che sente assai più familiare della lingua individua-lista alla quale si cerca in ogni modo di abituarci. E quando la cronaca gli offre uno specchio per guardarsi così com’è quasi non crede ai propri occhi, talmente è vero e convincente quel che vi scorge. Siamo noi, quelli lì, proprio noi. Belli, no?

A ridircelo è stato domenica il Papa, che all’Angelus dal Policlinico Gemelli, con i segni visibili del ricovero a mostrarcelo vicino nella fragilità e nella cura, ha reso la sua testimonianza grata per aver "sperimentato ancora una volta", in questi suoi "giorni di ricovero in ospedale", "quanto sia importante un buon servizio sanitario, accessibile a tutti, come c’è in Italia e in altri Paesi. Un servizio sanitario gratuito, che assicuri un buon servizio accessibile a tutti". A malapena lo ricordiamo, tanto ci siamo abituati: l’Italia vanta un’offerta di salute per i cittadini che – con i suoi non pochi problemi – ha un’impronta universale come lo sono tutti i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione. "Tutti", nessuno escluso. È come il riverbero civile di una fraternità profondamente radicata dentro ciò che ci costituisce. Un servizio sanitario così è un "bene prezioso ". Per questo – ha esclamato Francesco – "bisogna mantenerlo" e "impegnarsi tutti, perché serve a tutti e chiede il contributo di tutti".

Lo immaginiamo, il Papa durante la settimana sinora trascorsa al Gemelli: medici e infermiere affaccendarsi attorno al suo letto, a centinaia di altri nella grande struttura dell’Università Cattolica, e a decine di migliaia di altri ancora, senza sosta, in ogni angolo del Paese. E lui, il Papa, a considerare giorno dopo giorno che quella stessa assistenza professionale e sorridente non è il privilegio di un paziente al quale guarda il mondo intero ma davvero è per tutti.

In Italia va così, e non può essere diversamente. Lo dice la stessa impalcatura dei valori che tiene in piedi il Paese, e che esige la fedeltà a un mandato di prossimità che è dello Stato ai cittadini ma prima ancora dell’uomo all’uomo, specie quando è evidente la sua fragilità. La chiave è ancora e sempre il passo del Samaritano che "invece" si fermò mentre gli altri tiravano dritto, distratti o piegati su di sé, con una scusa o l’altra. Cosa comprese su quella strada verso Gerico il malcapitato che, "mezzo morto", aspettava uno che si prendesse cura di lui? Che la sua vita era affidata al buon cuore di un passante, certo. Quello sguardo che aveva suscitato però non poteva essere una fortunata casualità ma doveva abbracciare chiunque fosse stato nel suo stesso bisogno. È come se da allora in poi la storia avesse svoltato, e quello sguardo pieno di compassione reciproca – un giorno feriti, un giorno samaritani – si fosse inciso nella nostra terra, come un dono. Del quale è erede il servizio sanitario aperto a tutti, universale e gratuito, che non distingue tra Papi e senza dimora. Perché sa che tutti sono "prossimo". Se non è grandezza questa.

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