giovedì 30 agosto 2012
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Caro direttore,
pur con la prudenza che è dovuta fino all’effettiva conoscenza delle motivazioni della sentenza, quella emessa dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo avverso la legge 40 in materia di procreazione medicalmente assistita ci sembra orientata verso una pericolosa visione eugenetica che non vorremmo venisse introdotta nel nostro ordinamento giuridico. Si dice che sarebbe stata individuata un’incongruenza nel nostro ordinamento, che mentre vieta la diagnosi pre impianto, ammette l’interruzione della gravidanza in presenza della medesima patologia che, nel caso di specie era a fondamento della richiesta dei ricorrenti. Premesso che il parallelismo pare abbastanza forzato in punto di diritto, laddove ci fosse davvero incongruenza, biosognerebbe domandarsi se a essere rivisitata non debba essere la legge sull’interruzione della gravidanza; con buona pace dei sostenitori dell’aborto. È evidente che non sono in atto 'guerre di religione' da parte del presunto 'oscurantismo' cattolico, ma che l’unica, vera 'guerra', combattuta in nome e per conto di quella brutta religione che si chiama laicismo, è condotta da chi ritiene la 194 inemendabile, e vuole utilizzare il pronunciamento della Corte per legittimare l’ennesima scelta relativista e negare la soggettività giuridica dell’embrione umano.
Daniele Bagnai, Firenze
 
Gentile direttore,
mi pare si debba ammettere come pertinente il rilievo della Corte Europea sull’incoerenza fra la legge 40, che non permette la diagnosi embrionale di fatto usata per eliminare quegli embrioni che potrebbero essere portatori di anomalie genetiche, e la legge 194 che invece di fatto permette la stessa diagnosi per consentire l’eliminazione del nascituro portatore di rilevanti anomalie o malformazioni anche dopo i novanta giorni e fino alla nascita. Giusto dunque eliminare questa incongruenza, ma eliminando il comma della 194 (art 6b) che in una società che si vanta di rispettare e curare ogni persona indipendentemente dal suo stato e dalle sue condizioni sanitarie, con somma ipocrisia e disumanità permette poi una vera e propria selezione eugenetica uccidendo degli esseri umani prima che nascano, benché oltretutto già ben sviluppati.
Riccardo Robuschi, Milano
 
Caro direttore,
che una sezione della cosiddetta Corte europea dei diritti umani, con una sua sentenza sostenga la liceità della diagnosi pre-impianto con finalità eugenetiche in caso di fecondazione in vitro non mi stupisce. Né mi stupisce che il mondo radicale e 'pro-death' cerchi sempre di più la via giudiziaria, sia nazionale che europea, per raggiungere obiettivi inaccessibili attraverso la via parlamentare. Non sono stupito invece, a differenza di Antonella Mariani che ha firmato l’articolo on line del 28 agosto sulla sentenza di Strasburgo, della motivazione: incoerenza con la legge 194, che già permette l’aborto eugenetico. È vero che, presa alla lettera, la legge 194 riconosce il diritto di aborto solo in caso di «grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna». Ma la prassi giurisprudenziale e una valanga di sentenze ormai hanno stabilito che esiste grave pericolo anche nel caso che il bambino abbia una qualunque forma di malattia genetica, malformazione o disabilità che venga percepita dalla madre come impossibile da sostenere. Che la 194 renda legale da decenni in Italia l’aborto eugenetico, del resto, lo dimostra il drammatico crollo delle nascite di bambini affetti da sindrome di Down, come è stato ricordato dal presidente della Fondazione Lejeune all’ultimo Meeting di Rimini. Non esiste legge accettabile quando si parla dei diritti fondamentali del nascituro.
L’unica norma giusta è quella che allontana le mani dell’uomo dal sorgere della vita umana per difendere il più debole: per difendere il bambino non nato.
Benedetto Rocchi, San Polo in Chianti (Fi)
 
Le vostre tre lettere, cari amici lettori, ripropongono argomenti e problemi che Avvenire ha ampiamente e ripetutamente approfondito. Tutti, nessuno escluso. A cominciare dall’impressionante sterminio pre-nascita dei bambini affetti da sindrome di Down. Una lunga cronaca, una lunga riflessione e una intensa battaglia culturale, che continuano (e che certi paladini del “radicalismo” o certi signori che vorrebbero insegnare il Credo anche agli Apostoli si ostinano a denigrare). Antonella Mariani, nel suo articolo online di martedì 28 agosto, ha segnalato subito e opportunamente una delle pecche “tecniche” della sentenza contro la quale ci sarà il ricorso dell’Italia alla Grande Chambre. Pecca alla quale accenna in modo fulminante Giuseppe Anzani nella conclusione dell’editoriale di prima pagina che abbiamo pubblicato ieri. Ed è vero, verissimo, che quella pecca inesistente in punto di diritto (non c’è stando ai testi normativi la lamentata «incoerenza» tra legge 40 e legge 194) è invece drammaticamente presente in una vasta e mortale prassi nei confronti del bimbo non nato. Penso tuttavia che anche dal male, persino dal gigantesco male delle teorizzazioni eugenetiche, può germinare un bene. Gli scandali – sentenze scandalose comprese – possono davvero aiutare tanti di solito distratti od ormai indifferenti a riflettere e possono indurre a vedere anche chi, di solito, distoglie lo sguardo dalla tragedia della feroce selezione e negazione della vita umana nascente. Mi auguro che, non solo in Italia, gli uomini e le donne del nostro tempo ne siano capaci. Legislatori (e magistrati) compresi.
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