Un'altra scossa
martedì 18 giugno 2019

Passa veloce, sullo schermo nei tg della domenica sera, l’immagine del Papa davanti all’altare del Duomo di Camerino, in silenziosa preghiera davanti a una Madonna salvata dalle macerie del terremoto del 26 ottobre 2016. L’antica Madonna ha le mani mozze, la testa decapitata. Le mani perse come chi si sente impotente, il volto sfigurato come chi fatica a riconoscere ciò che era un tempo. Camerino da quel 26 ottobre è rimasta immobile. Nel centro storico due palazzi su tre, imbragati, attendono una ricostruzione che non comincia mai. Quasi tre anni dopo il terremoto, dice il vescovo Francesco Massara, è anche «quello delle promesse»: lo sconforto, testimonia, si allarga fra le nuove generazioni. Un angolo d’Italia di cui lo Stato, dopo la prima commozione mediatica, pare essersi dimenticato. Fra i vicoli vuoti dei rumori della vita pare di sentire il cedimento della speranza.

Proprio di speranza, è venuto a parlare Francesco alla gente di Camerino. Lo hanno accolto nei loro prefabbricati, gli hanno offerto, le nonne, i dolci del posto, e c’erano le famiglie schierate con i bambini, e perfino il cane di casa. Lo hanno atteso come uno che capisce e che sa, e viene in carne e ossa a portare la sua vicinanza, per dire: non siete abbandonati, e provocare un’altra scossa, stavolta buona, tra le crepe e le macerie. E certo, il Papa con l’elmetto di protezione in un Duomo inagibile è un forte richiamo alla politica, allo Stato, laggiù così distratto, così lento, così macchinoso nelle sue complicate procedure. Ma Francesco davanti a quella Madonna senza mani ha voluto ricordare, nella domenica della Santissima Trinità, anche un’altra speranza, oltre a quella degli uomini, pure necessaria e vitale. La speranza dello Spirito: che, ha detto,«non è nemmeno ottimismo. Nasce più in profondità, riaccende in fondo al cuore la certezza di essere preziosi perché amati. Infonde la fiducia di non essere soli. È una speranza che lascia dentro pace e gioia, indipendentemente da quello che capita fuori. È una speranza che ha radici forti, che nessuna tempesta della vita può sradicare. È una speranza, dice san Paolo, che "non delude". Quando siamo tribolati o feriti – e voi sapete bene cosa significa essere tribolati, feriti –, siamo portati a "fare il nido" attorno alle nostre tristezze e alle nostre paure. Lo Spirito invece ci libera dai nostri nidi, ci fa spiccare il volo, ci dischiude il destino meraviglioso per il quale siamo nati. Lo Spirito ci nutre di speranza viva».

Fare il nido attorno alla nostra tristezza, sa bene che vuole dire la Camerino dei vicoli muti, come lo sa, ovunque, chiunque affronti dolore e abbandono. Quando occorre il coraggio di ricominciare, e quel coraggio manca. Perché, spiega Francesco nella sua omelia, «ci vuole più forza per riparare che per costruire, per ricominciare che per iniziare, per riconciliarsi che per andare d’accordo. Questa è la forza che Dio ci dà. Perciò chi si avvicina a Dio non si abbatte, va avanti: ricomincia, riprova, ricostruisce». Le parole del Papa dalla piccola città marchigiana in realtà ci riguardano tutti, o almeno riguardano quelli di noi che si trovano davanti ineludibile la propria umana limitatezza: nel fallimento di un progetto o di un amore, nell’indebolimento di quando si invecchia, nella solitudine di chi sa che il suo male non guarirà.

Quando tutto quello che si è fatto sembra vano e inutile – e quasi da sciocchi, sperare ancora. La Madonna mutilata di Camerino è allora icona dell’umanità ferita, della stessa comunità cristiana che può tremare nelle sue fondamenta. Quando cadono le braccia, quando il proprio volto allo specchio guarda se stesso smarrito, non riconoscendo l’espressione di un tempo, forte e fiduciosa di sé.

La Madonna marchigiana, Madre del coraggio ferita come il suo popolo, passata fuggevolmente sui tg ci ha ricordato un’altra Madonna: quella della parrocchiale di Longarone, trascinata nel Piave la sera del 9 ottobre 1963 dalla furia dell’onda del Vajont, e ritrovata decine di chilometri a valle. Fu l’operaio di una cava a ripescarla dal fango, come un corpo caro: e anche quella Madonna aveva le mani mozzate. (Quando, mesi dopo, la statua venne riportata a Longarone, ci furono donne del paese che andarono a baciare le mani di quell’operaio, che aveva riportato la loro Madonna).

Il volto deturpato, i polsi spezzati, le Madonne recuperate dalle disgrazie di un popolo somigliano a quel popolo stesso, attonito davanti alle proprie macerie. Somigliano alla fede incrinata e tremante di chi ha subito un colpo che non riesce a sopportare. Per questo davanti alla Madonna di Camerino, nella domenica della Trinità, Francesco ha voluto ricordare l’altra speranza, che non è semplicemente ottimismo o forza d’animo, capacità che non tutti hanno. È una speranza che nasce nelle profondità più remote di un uomo. È la certezza, comunque, di essere stati voluti e pensati da Dio – «prima che ti formassi nelle viscere di tua madre, io ti conoscevo », recita il Salmo; e di essere, ciascuno, da Lui infinitamente amato. Così che nulla ci può davvero spogliare di ciò che intimamente ci costituisce: come una trama stampata in noi, un indelebile segreto.

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