venerdì 22 maggio 2015
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Si chiama Youth, La giovinezza, ma nell’ultimo film di Sorrentino, già vincitore dell’Oscar con La grande bellezza, la giovinezza è un fantasma, un ricordo evanescente, una speranza sepolta, che pure vorrebbe vivere ancora. Credo che per apprezzare questo film occorra avere una certa età. Mia figlia diciassettenne è uscita protestando: non c’è una trama, non si capisce niente. A me invece è stato congeniale lasciarmi andare nei vapori di un film visionario, onirico, e cadere nei suoi sogni lagunari. Forse perché ciò a cui Youth gira intorno è il tema del tempo, del passato e del futuro, e di come invecchiando si alteri la percezione di queste dimensioni. Soprattutto, più che della giovinezza, Youth parla della vecchiaia. O almeno di un modo di essere vecchi – da uomini ricchi, di successo, isolati nel limbo di un hotel sulle Alpi svizzere, che rievoca atmosfere da Montagna incantata. In un sontuoso e esclusivo complesso termale, un tempio del benessere fisico sapientemente coltivato, Mick, un vecchio famoso regista, e Fred, un ex grande direttore d’orchestra, si accompagnano fra saune e fanghi che corroborino i loro corpi di ottantenni. È immediatamente chiaro come la giovinezza così inseguita sia mendace: giovani sono gli altri, la fisioterapista fanciulla, o la splendente miss Universo che irrompe tra gli ospiti come una Susanna tra i vecchioni. I due artisti guardano al passato e lo vedono sfuggente e piccolo, come in un binocolo rovesciato. Donne, amori, figli: i ricordi sfuggono, o si materializzano, fantasmi, all’improvviso, come quando il regista si vede attorniato dalle cento comparse dei suoi lontani film. Fred, il maestro, immagina di dirigere i sonagli delle mucche sui pascoli, mentre rifiuta un ultimo concerto alla regina d’Inghilterra. L’amico progetta un film che abortirà. E fluttua nei vapori delle saune una imprendibile giovinezza, come l’ansia di poter trattenere qualcosa di ciò che si è desiderato e ci ha dato gioia, e non c’è più. Come una moglie scomparsa o come una donna desiderata in gioventù. Nella realtà, il tempo ha lavorato, e la ex bellissima attrice è una maschera di rughe spietate, sotto a un trucco impotente. Forse ha ragione la diciassettenne che dice che non c’è una trama. A me Youth è sembrata una metafora di una "certa" vecchiaia di un certo Occidente, dove si è vecchi in sempre maggior numero, e si vive in discreta salute, magari, come nel film, perfino da ricchi – ma senza bene sapere perché. Nella Grande bellezza, Sorrentino aveva raccontato, dentro alla cornice di una Roma splendente, la miseria di certa mondanità sguaiata, di ambizioni mancate, di solitudini mascherate. Eppure, traversava il film una tensione, appunto, a una grande bellezza, quella che il protagonista ammetteva di non avere trovato; se non forse nella memoria, all’ultimo, di un grande amore perduto. C’era un desiderio, aleggiante sulla Roma di Sorrentino, e un’assenza, insieme, indicibile e incombente. In Youth, allo stesso modo, c’è la forza di un desiderio, la tensione fondamentale che tiene in vita i protagonisti, ma un muro cieco davanti. In Youth, allo stesso modo, c’è la forza di un desiderio, la tensione fondamentale che tiene in vita i protagonisti: ma con un muro cieco, davanti. Dei due amici uno si ribella, uno invece sembra venire a patti col tempo. Ma, di nuovo, in un film di Sorrentino domina una assenza: estremizzata, giacché questa volta i due ottuagenari sono ormai alle strette con se stessi e la realtà. Manca, nelle vecchiaie dorate del grande eremitico hotel svizzero, una speranza vera, fondata, carnale; verrebbe da dire che manca "maledettamente" la speranza di Cristo. Ma è interessante per un credente confrontarsi con la vecchiaia smarrita e dorata dei due protagonisti, perché è come una cartina di tornasole: quanto siamo diversi, o, invece, in verità simili a quei due? Quanto cioè la speranza cristiana, come scriveva Benedetto XVI nella Spe salvi, è in noi viva e operante, oppure solo sbiadita memoria, che non incide nella vita. L’assenza incombente di Youth, che è vera in tanto Occidente secolarizzato, parla, forse senza razionalmente volerlo, di un desiderio grandissimo, e censurato.
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