sabato 15 settembre 2012
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Il temporaneo (e speriamo duraturo) successo della strategia europea di contenimento alla speculazione ha riportato il dibattito economico sul fronte interno. Mettendoci di fronte a un problema non meno complesso di quello europeo. Per rispettare il patto fiscale Ue, che richiede la riduzione ogni anno di un ventesimo della differenza tra il nostro rapporto debito/Pil e quello "virtuoso" fissato al livello del 60 per cento, sono necessari sforzi finanziari sovrumani. Poiché, come correttamente osserva Paul Krugman, la «fata fiducia» non esiste e i tagli alla spesa non rilanciano di per sé la crescita, siamo di nuovo di fronte al problema di far ripartire l’economia del nostro Paese senza poter finanziare alcuno stimolo alla domanda interna sotto forma di riduzione di tasse sui redditi o sul lavoro. Sarà molto dura farcela in queste condizioni e non per nulla non si vede ancora il sereno all’orizzonte: le previsioni per quest’anno indicano una recessione superiore al 2 per cento e neppure per l’anno prossimo si prevede un segno positivo.Sono tante le direzioni d’azione individuate nel dibattito pubblico, ma quasi nessuna di esse può essere intrapresa a costo zero. Per fare solo alcuni esempi l’agenda digitale (banda larga, digitalizzazione della pubblica amministrazione) è tra quelle che potrebbero avere impatto più significativo, ma necessita di qualche risorsa finanziaria per la sua attuazione. La riforma delle istituzioni è anch’essa essenziale. In un volume di successo, uno degli economisti più bravi e influenti dei nostri tempi, Daron Acemoglu, spiega come le istituzioni siano decisive nel disegnare incentivi e nello stimolare i comportamenti virtuosi dei cittadini. Le istituzioni di tipo "estrattivo", a differenza di quelle "inclusive" però, invece di favorire la creazione di valore da parte dei talenti individuali la rallentano. Per far diventare le nostre istituzioni più "inclusive" e meno "estrattive" si sono individuate da tempo iniziative volte a ridurre il peso della burocrazia, combattere la corruzione e ridurre la lentezza della giustizia civile. Anche qui però qualche risorsa finanziaria ci vuole e gli effetti non possono essere immediati (i «tempi lunghi» delle riforme di cui parla il premier Monti).I problemi di lungo periodo posti dalla sfida della globalizzazione che abbiamo sullo sfondo richiedono anch’essi tempi lunghi di risoluzione. Il caso Alcoa dimostra come pezzi importanti del sistema industriale italiano rischiano di diventare rapidamente obsoleti perché hanno perso competitività con concorrenti di altri Paesi per il gap di investimenti tecnologici e di costo del lavoro.In una situazione difficile come questa c’è bisogno di aprire il gioco con nuove idee. Oltre che perseguire con tenacia l’obiettivo della riforma della finanza riportandola al servizio dell’economia reale (ed evitando così lo spreco di tante risorse) dobbiamo sostituire lo schema duale tradizionale Stato-mercato con quello triadico Stato-mercato-società civile. Promuovendo iniziative che stimolino le energie e la partecipazione dal basso creando valore economico e capitale sociale. Anche se ancora timidamente, i governi e le istituzioni europee stanno iniziando a promuovere il "voto con il portafoglio" dei cittadini, cioè a valorizzare la possibilità che essi hanno con le loro scelte di consumo e di risparmio di premiare le aziende alla frontiera dell’efficienza "a tre dimensioni", ovvero le aziende capaci di coniugare creazione di valore economico con la tutela del lavoro e dell’ambiente. Se infatti non è possibile e non è giusto fermare alla frontiera prodotti a più basso costo del lavoro e ad alto impatto ambientale, molto si può fare per favorire un’azione selettiva da parte dei cittadini, non protezionista ma volta a promuovere e premiare imprese nazionali ed estere che sono più efficienti nella tutela dell’ambiente e del lavoro.Dalle regole premiali sugli appalti della pubblica amministrazione, già impiegate in molte mense scolastiche dai Comuni italiani, a sgravi fiscali per le imprese più evolute in termini di responsabilità sociale, allo stimolo all’adozione di sistemi di valutazione socio-ambientale.Promuovere la responsabilità sociale e ambientale con "regole sulla produzione" in un’economia globalizzata rischia di essere velleitario, perché aumenta il vantaggio delle imprese a de-localizzare in Paesi dove l’asticella delle regole e dei costi è più bassa. Promuovere la stessa responsabilità con "regole sulla vendita" elimina questo rischio perché tutte le imprese, ovunque esse abbiano collocato la produzione, sono premiate nel caso in cui il loro processo produttivo incorpori valore sociale e ambientale. Queste scelte politiche sono possibili, e sono possibili adesso. Un giorno finalmente capiremo fino in fondo che il "mercato" siamo anche noi (perché il mercato è fatto di domanda e offerta e i cittadini controllano uno dei due lati). E impareremo a utilizzare in modo intelligente questa consapevolezza, questa enorme potenzialità, se opportunamente incentivati da regole e istituzioni lungimiranti.La posta in gioco è quel riequilibrio di costi della vita e del lavoro tra aree povere e aree ricche del pianeta che, lasciata alle forze del mercato, avverrebbe in tempi lunghissimi e che la nostra azione può accelerare. L’economia non è fatta di "mani invisibili" che agiscono automaticamente trasformando egoismi individuali in risultati socialmente virtuosi, ma di meccanismi che realizzano i loro effetti positivi nella misura in cui ci sforziamo di farli funzionare. Ecco perché etica, cooperazione, norme sociali e morali e virtù civiche sono oggi così importanti.
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