venerdì 24 ottobre 2008
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Chi sbarca all'aeroporto di Cagliari è accolto da un manifesto gigantesco. Mostra l'incantevole mare di Sardegna, che in estate diventa il mare di tutti, e una scritta che, in queste ore, suona involontariamente sarcastica e beffarda. Dice, in pratica, che il continente è qui: su quest'Isola che, nella sventura dell'alluvione che l'ha colpita, è sembrata ancora più lontana dal resto dell'Italia. Insomma: siamo isola e anche continente. I sardi hanno ragione. Capoterra, con il suo territorio che l'acqua ha devastato, è un'isola sull'isola, e non può dirsi felice, nonostante questo bel mare che ha davanti agli occhi. Le case del quartiere San Girolamo che l'alluvione ha ricoperto di fango non sono da billionnaire e neppure da millionnaire perché questo pezzo di Sardegna vive la delusione di un progresso e di uno sviluppo mancati: quello che furono promessi dall'estremo e sofisticato sviluppo industriale. Questo pezzo di isola si trova racchiuso tra i poli di Macchiareddu e di Sarroch, dove sorge una delle più grandi raffinerie d'Europa. Tutto intorno sfoggia alta tecnologia nei suoi comparti industriali che sfornano fibre ottiche, prodotti chimici e altri sofisticati ritrovati. Questo pezzo di Sardegna ha creduto in tutto questo, e ne è rimasto deluso. Né più né meno di quanto è successo nelle varie Gioia Tauro d'Italia o nelle Bagnoli degli anni scorsi o nei poli industriali che si specchiano nelle acque di Sicilia. Anche il turismo, che avrebbe una potenzialità smisurata, è rimasto pressoché un discorso a metà. Il mare del manifesto, probabilmente, è quello che bagna tutta la costa nord della Sardegna che, a forma di cupola, va da Castelsardo fino alla punta di Santa Teresa di Gallura per poi scendere fino ad Olbia, passando per la Maddalena. Ma qui tutto è a metà, e con promesse non mantenute. Non si spiegherebbe, diversamente, perché mai la disoccupazione giovanile sia qui quanto meno allineata alla media nazionale. La Sardegna è continente anche in questo. Come continente, o - scusandoci del bisticcio - come isola a sé, la Sardegna, o quanto meno questo suo piccolo pezzetto, non ha atteso che si muovesse qualcuno. Prima che si mobilitassero l'esercito, la protezione civile, e altri corpi dello Stato che hanno dimostrato una straordinaria puntualità, ha subito cominciato a fare da sé. Il fango in queste contrade è ancora bagnato, e tutto è inzaccherato. In questo sfacelo, i sardi di questa parte di Sardegna hanno dato vita spontaneamente una catena toccante e stupefacente di solidarietà. E se il fango del vicino è più alto, chi ha spalato sul suo cortile, dopo va in quello confinante a dare una mano. L'acqua, caduta con troppa abbondanza, ha trascinato tutto con sé, ma pare che abbia scrostato anche nell'animo di tutti quell'apparente patina di rudezza e di scontrosità. Di tutto questo chi se ne è accorto? Il continente, di fronte a questa tragedia di una parte della Sardegna, mai come adesso pare stia geograficamente molto più lontano. Il fango di Capoterra, ad esempio, non è finito sulle prime pagine dei giornali. Forse perché non ha nulla a che vedere con quel mare che - quello sì - attira nell'Isola tanta gente. Oppure perché il fango sta nel cortile di un vicino che in fondo vive molto lontano. E, dunque, sono fatti suoi. Ecco perché quel manifesto a chi lo guarda in queste ore suona beffardo. Abbiamo un'isola che vuole essere continente, ed invece è isolata. E non soltanto dal mare.
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