giovedì 22 gennaio 2009
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I presidenti delle Camere hanno deciso di sciogliere la commissione parlamentare di vigilanza, compiendo un atto probabilmente inevitabile, che tuttavia innova sulla prassi in modo sostanziale, sottolineando così un malessere che dal terreno politico si estende a quello istituzionale. La vicenda è nota: per prassi, ma non per legge, alla presidenza delle commissioni di garanzia viene eletto un rappresentante delle opposizioni. La candidatura di Leoluca Orlando, però, era sentita dai consiglieri di maggioranza come una provocazione e non ha neppure mai ottenuto il consenso di tutti quelli di opposizione. Per forzare il cambiamento dell’indicazione del Partito democratico, la maggioranza, più un paio di esponenti delle opposizioni, ha eletto presidente Riccardo Villari, del Pd, che si era detto disponibile a favorire una soluzione unitaria, ma che quando questa è stata individuata nella persona di Sergio Zavoli, ha cambiato parere, il che ha portato alla dimissione irrevocabile di quasi tutti i membri della commissione che è quindi stata sciolta per l’evidente impossibilità di funzionare. Esercitare il sarcasmo sul modo nel quale le varie forze politiche si sono insensatamente infilate in un vicolo cieco, per farle uscire dal quale i presidenti sono stati costretti a operare essi stessi una mezza forzatura, sarebbe fin troppo facile. Non è neppure detto che la vicenda tragicomica sia davvero conclusa, visto che è possibile una coda giudiziaria che potrebbe rimettere tutto in discussione. È raro trovare una situazione nella quale pare evidente che tutti abbiano sbagliato, le opposizioni nel voler imporre alla maggioranza un candidato particolarmente urticante, la maggioranza nell’aver violato la prassi scegliendosi da sola o quasi il presidente nelle file dell’opposizione, il presidente eletto che ha insistito a esercitare funzioni che gli erano ormai politicamente precluse. Una certa boria di partito ha accomunato Walter Veltroni, che aveva assicurato che qualunque presidente del proprip partito eletto senza il suo consenso si sarebbe immediatamente dimesso, come il centrodestra che era convinto che una volta trovata la soluzione unitaria Villari si sarebbe ritirato in buon ordine. Alla fine, salvo complicazioni, i partiti l’avranno vinta, com’è peraltro naturale in un sistema rappresentativo, ma l’immagine che hanno offerto in questa vicenda non è certo tale da attenuare la diffidenza che si sta estendendo nei loro confronti. Tutto questo putiferio, peraltro, è solo preliminare alle scelte vere, quelle sull’assetto di direzione amministrativa e operativa della Rai. C’è da sperare che si troverà un accordo per risolvere questo problema con indicazioni autorevoli e con misure efficaci, anche perché se la composizione della commissione di vigilanza interessa soprattutto il ceto politico e quello giornalistico, la qualità del servizio pubblico e l’efficienza dell’azienda cui è affidato invece interessano l’intera collettività.
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