Un progetto per l'Occidente
giovedì 17 giugno 2021

Cooperazione, competizione e franchezza. Questi – ha detto Mario Draghi – sono i tre obiettivi da perseguire con la Cina. Lo ha affermato alla conclusione del G7 che si è tenuto in Cornovaglia, aggiungendo che è la posizione comune dei Paesi occidentali.

Cooperazione, perché ci sono grandi questioni di interesse comune da trattare insieme, a cominciare da quella del clima; competizione, perché nessuno può negare alla Cina il diritto di svilupparsi come grande potenza economica, ma deve seguire anch’essa le regole internazionali; franchezza perché bisogna essere chiari sui punti di dissenso, a partire dai diritti umani. Insomma, atteggiamenti diversi per problemi differenti e su vari piani. Dunque, nessuna nuova 'guerra fredda'. Lo ha detto anche il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg: «Non stiamo entrando in una nuova guerra fredda e la Cina non è il nostro avversario, il nostro nemico».

Indubbiamente, è una novità importante che la Nato abbia fatto entrare per la prima volta la Cina nel suo orizzonte.E lo abbia fatto parlando di «sfide sistemiche all’ordine internazionale e ad alcune aree geografiche significative per la sicurezza dell’Alleanza». Ma le parole usate non descrivono una contrapposizione assoluta come quella tra blocco occidentale e blocco sovietico. Allora si trattava infatti di uno scontro totale fra due nemici, congelato perché se fosse diventato caldo avrebbe provocato un olocausto nucleare. Ma di guerra si trattava. Se qualcuno oggi usa l’espressione 'guerra fredda' per descrivere i rapporti fra l’Occidente e la Cina lo fa – un po’ irresponsabilmente – per motivi di propaganda. Ma la realtà è, fortunatamente, ben diversa. Si è molto parlato di divergenze al G7 o al vertice Nato tra Stati Uniti e Paesi europei motivate da differenti interessi degli uni o degli altri. C’è del vero, ma rappresentare le cose in questi termini è troppo riduttivo e, alla fine, fuorviante. Anzitutto, che «l’America sia tornata» come dice Joe Biden e che voglia riprendere stretti rapporti con gli alleati europei è un’ottima notizia. Che tale collaborazione significhi anzitutto abbandonare i motivi di scontro introdotti da Donald Trump è un’altra ottima notizia.

Ma forse la migliore di tutte è che il G7 ha mostrato l’intenzione di occuparsi almeno un po’ anche del resto del mondo: impegno per il clima, fornitura (pur parziale) di vaccini a chi non ne ha, iniziative per l’Africa e per altri Paesi in via di sviluppo. Intenzioni o modesti avvii, certo, che devono ancora tradursi in fatti di prim’ordine, ma che hanno comunque un’importanza intrinseca. Anzitutto per lo stesso Occidente. Il nome Occidente non indica immediatamente un’entità geopolitica: che Nord-America ed Europa siano divise dall’Atlantico spiega ad abundantiam perché ci siano interessi diversi. Ciononostante, per cinque secoli, e in particolare nel Novecento, l’Occidente ha rappresentato un’importante realtà storica. È stato così perché le due sponde dell’Atlantico hanno perseguito un progetto comune, prima a guida europea poi statunitense, che ha riguardato largamente anche il resto del mondo. Non tutto di questo progetto è stato positivo, ma resta il fatto che l’Occidente può oggi avere un futuro solo se ha un progetto comune che coinvolga (anche) gli altri continenti.

Le intenzioni espresse in Cornovaglia possono costituire un primo passo in questa direzione. È in questo quadro che si colloca anche il problema Cina. Per realizzare i tre obiettivi indicati da Draghi è, infatti, essenziale capire il punto di vista dell’altro, il che ovviamente non vuol dire giustificarlo. Il rischio di ripetere l’espressione 'guerra fredda' non è tanto che a furia parlarne si finisca per farla, quanto che si finisca per fasciarsi la testa con la propria propaganda. Oggi i think tank occidentali che si occupano di Cina o, peggio, quelli che collaborano con studiosi cinesi sono visti con sospetto. Ma, per esempio, se davvero ci preoccupa la situazione degli Uighuri non possiamo ignorare che il ritiro occidentale dall’Afghanistan è una pessima notizia anche per loro.

L’attuale politica di Pechino nello Xinjiang è infatti il risultato di un lungo processo iniziato dopo l’attentato alle Torri Gemelle del 2001 ed è motivata dal timore di terrorismo e/o secessione in quello che qualcuno chiama il Turkestan orientale, adombrando intenti anticinesi (per questo, se fossero inviate truppe turche a Kabul, verrebbero percepite a Pechino come una provocazione). Occidente e Cina, insomma, hanno mancato vent’anni di possibile collaborazione per conciliare lotta al terrorismo globale e rispetto per le popolazioni. E questo è solo uno dei tanti problemi da capire e su cui confrontarsi se l’Occidente vuole ritrovare la sua identità e un ruolo nel mondo.

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