Un po' di buonsenso nel calcio «almeno a Pasqua»
giovedì 16 marzo 2017

La partita Roma-Atalanta è tanto delicata – non si sa se per le inquietudini di Spalletti e Totti o per la suprema e sacra serenitá del signor Gasperini – da esser programmata per domenica 16 aprile. Domenica di Pasqua. Ironia sprecata: dipenderebbe solo da meccanismi regolamentari male interpretati. Ovvero ignorando il buonsenso. Senza salire sul pulpito, né minacciando il fuoco eterno, si può affermare con serena fermezza che si tratta di una scelta sciocca in assoluto, offensiva per i cattolici che intendono ancora osservare non solo la tradizione bensì – per chi non lo sapesse, e non penso certo ai nostri lettori – il Precetto pasquale ch’è entrato nelle nostre menti fin da bambini quando abbiamo sentito dire dal prete o dai genitori “almeno a Pasqua”, traguardo consentito ai tiepidi o ai distratti per la Confessione e la Comunione. Possiamo allora dire ai calciatori “riposate almeno a Pasqua”? E se mai ci rispondessero “sono decisioni prese dai padroni” dovremmo rispolverare un’antica, amarissima e ingiusta definizione che descrisse crudelmente il ruolo di certi atleti: vite vendute. Peccato, perché il calcio non è solo un gioco come tanti, ma una affermata risorsa sociale.

Prendete Max Allegri che raccomanda al calcio e a certi suoi protagonisti di non turbare i bambini: applausi, com’è bravo (davvero), altro che quelle risse diseducatrici; sì, siamo tutti d’accordo, e quanto ci rincuora il cameraman che allo stadio indugia sul volto dolcemente appassionato di un fanciullo, di una bimba, addirittura di una famigliola serena, piuttosto che sull’orda degli ultrà. Sono buoni sentimenti e momenti educativi più di quanto lo sia la moralistica, bacchettona ricerca di un labiale blasfemo, spesso utile a erudire chi l’ignora; sono l’antidoto naturale – più che predicato – non solo alla violenza ormai compagna quotidiana della Società, ma alla volgarità, alla maleducazione non appartenente per principio allo sport. Eppure al peggio – sapientemente organizzato – non c’è mai fine ed è ormai abituale reagire davanti ai misfatti calcistici con una sbuffata, una scrollata di spalle e un “non c’è più religione”. Perché non c’era bisogno di Desmond Morris per scoprire anche una particolare sacralità dell’evento che già da lungo tempo nell’Italia cattolica aveva almeno un po’ sottratto la domenica alla Chiesa. Ma perché opporre, in realtà, il profano al sacro? Vi spiegheranno che tutto dipende da una partita di Coppa della Roma con il Lione, che se la Magica vincesse dovrebbe giocare non il Sabato Santo con tutte le altre squadre, ma godendo di un giorno in più di riposo. E allora? Escludendo il parere dei rivali di fiume che, poco caritatevoli, risolverebbero il problema augurandosi un successo dei francesi, ci si aspetta che sia proprio la Roma – l’unica che può decidere – a chiedere comunque il posticipo al lunedí di Pasquetta. Giorno in cui, liberati dall’impegno di esser buoni e bravi “almeno” a Pasqua, si può far festa anche in uno stadio. Ci pensino, i dirigenti della Roma, “almeno” per rispettare il loro Vescovo.

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