giovedì 8 novembre 2012
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Occorre davvero una abbondante dose di ottimismo per suggellare la propria vittoria con i versi di una vecchia canzone di Frank Sinatra, The best is yet to come, «il meglio deve ancora venire», quasi una replica del reaganiano «non avete ancora visto niente». Perché se c’è una cosa che è sicura, in questa America profondamente divisa e frantumata da una moltitudine di problemi sociali, economici, politici ed anche etici è che niente sarà davvero facile per Barack Obama, quarantaquattresimo presidente rieletto ieri notte dopo una corsa tumultuosa al fotofinish con il concorrente Mitt Romney, caduto solo sul finale, grazie all’aiuto dell’uragano Sandy e della libera uscita che la Chrysler ha concesso ai suoi dipendenti perché andassero a votare in Ohio il presidente che aveva salvato loro il posto e l’onore.Sulla scrivania di Obama già lumeggia la minaccia del Fiscal Cliff, quel baratro fiscale (l’efficace definizione è del presidente della Federal Reserve Ben Bernanke) nel quale rischia di precipitare l’economia americana quando a partire dal primo gennaio verranno a scadere i bonus e le agevolazioni promesse quattro anni prima da George W. Bush, grazie alle quali Obama ha potuto contare su un più contenuto malcontento per la deludente performance della nazione, la cui crescita è risultata dimezzata rispetto alle aspettative e ora si profila addirittura un taglio del rating da parte di Fitch e Moody’s in previsione di nuovi mesi di recessione. Già, perché il decadere delle agevolazioni non porta che a due strade: il taglio della spesa pubblica e l’aumento delle tasse, entrambe scorciatoie per una depressione dei consumi.Come Obama ne uscirà non è dato sapere. Forse sarà costretto a limare il famoso e famigerato Obamacare (il dispositivo sanitario che tutela meritoriamente le fasce più deboli, ma che ha più di una seria pecca e che è stato oggetto di aspre contestazioni e di una lunga guerriglia al Congresso), forse ritoccherà ciò che resta del welfare, una rete assistenziale ormai assai esile e imparagonabile a quelle dei Paesi europei. Alle spalle del Fiscal Cliff soffia peraltro il Leviatano del debito sovrano, un mostro che consuma dai 3,5 ai 3,8 miliardi di dollari al giorno e che ha raggiunto una dimensione pari al 140% del Pil, per sostenere il quale è necessario che il mondo continui a comprare treasury bond per puntellare quel debito e permettere alla nazione più potente della Terra di credersi ancora davvero ricca e prospera.Abbiamo detto 'credersi', perché se questi parametri li applicassimo all’Europa difficilmente potremmo accettare di considerare 'ricco' un Paese che ha un bacino di poveri che supera il 15% della popolazione e 23 milioni di senza-lavoro. Non solo. Nell’agenda del presidente per i prossimi quattro anni ci sarà ai primi posti il problema dell’immigrazione. Obama ha già tolto ai figli degli immigrati illegali l’onta del rimpatrio coatto, ma la consapevolezza che il flusso dei latinos e in minor misura degli asiatici continuerà senza sosta negli anni a venire impone una rilettura delle politiche di accoglimento e di scolarizzazione e una riproposta di quel Dream Act che il Congresso ha finora bloccato. Ma che consentirebbe l’integrazione di un milione e mezzo di immigrati e un’iniezione di più di 300 miliardi di dollari nelle vene del Paese.Anche la visione iperlaicista dell’amministrazione Obama (favorevole come è noto ai matrimoni gay, all’aborto e 'incoraggiante' scelte de-regolatrici dei singoli Stati in materia di eutanasia, libera diffusione delle droghe e, aggiungiamolo, del gioco d’azzardo) meriterebbe un’ampia revisione, in grado di recepire le istanze delle comunità religiose – Chiesa cattolica in testa – in favore della famiglia naturale, della vita e, infine, della stessa libertà religiosa. Un’America profondamente cambiata rispetto al passato ha consegnato ieri a Barack Obama un secondo mandato. È un’America davvero multietnica, dove la supremazia numerica dei bianchi diventerà tra breve un ricordo e le forze sociali più vive saranno quel 47% che lo sconfitto Romney aveva malamente disprezzato: i giovani, i meno abbienti, le donne, i latinos, gli immigrati di ogni contrada. Un melting pot che Obama ha avuto il merito di avvistare per tempo e che di fatto lo ha premiato. Speriamo sappia anche governarlo.
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