martedì 30 dicembre 2014
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L’anno appena trascorso non è stato un anno come gli altri, per le tragedie e le sofferenze patite da popolazioni e nazioni intere, e perché ci consegna un mondo tutto da ricostruire, da curare per i mali di cui soffre, che hanno superato ogni soglia di patimento. Però, è un anno che può leggersi con un’altra filigrana, quella delle iniziative, interventi, incoraggiamenti rivolti da papa Francesco ai protagonisti di un’epoca che certifica una decadenza di valori e princìpi che hanno guidato la vita delle nazioni e delle istituzioni internazionali in altre fasi storiche. Le potenze protagoniste della "guerra fredda" del Novecento si sono ridimensionate reciprocamente, anche per la crescita di altri Stati ad ambizioni planetarie. Ma non si parlano più, generano guerre del tutto anacronistiche, che fanno male ai popoli coinvolti, sfociano nell’occupazione russa in Crimea, nelle battaglie dell’Ucraina orientale, nelle sanzioni che feriscono economie già deboli e malate. Quel non parlarsi di Russia e Stati Uniti, indebolisce la politica e l’umanità anche nel resto del mondo, in Medio Oriente, Africa e Asia, dove c’è solo sangue, ancora guerre, persecuzioni e schiavitù per intere popolazioni, soprattutto cristiane ma non solo, con un regresso epocale di civiltà. La storia va indietro, e nel 2014 assistiamo all’orrenda piaga della violenza su uomini sgozzati davanti alle telecamere, su donne violentate e schiavizzate, infine sui bambini, bambini condotti al fronte con tutine militari, che però non giocano, muoiono davvero come e più degli adulti, bambini uccisi negli attentati, trucidati in gruppo oppure uno a uno come è avvenuto ad opera di un commando demoniaco in una scuola del Pakistan, con una azione voluta, consapevole, come mai prima. Ogni volta qualcuno dice "basta", occorre fermare i violenti, salvare gli innocenti. L’ha detto Barack Obama di fronte alla ferocia dispiegata dall’Is in Iraq e altri Paesi. L’ha detto il governo del Pakistan dopo la strage di Peshawar, forse dimenticando quante volte l’estremismo islamico ha trovato protezione in quelle terre. Poi, tutto riprende come prima: gli Stati si richiudono nei propri confini, torna il silenzio sulle vittime di persecuzioni ed eccidi. Papa Francesco segue un altro sentiero, e pone così, sin dall’inizio, il suo pontificato al centro dello scacchiere planetario, con risultati sorprendenti secondo l’ottica delle cancellerie. Riesce a fermare sul finire del 2013 un nuovo bagno di sangue in Siria, dove di sangue ne scorre già troppo, invita i grandi della Terra a parlarsi di nuovo, si reca in Asia, e dalla Corea si dichiara pronto ad andare in Cina, la più vasta nazione del pianeta che lavora, produce, occupa mercati, cresce in influenza un po’ in tutto il mondo, ma tanto deve fare per garantire i diritti umani. E sempre papa Francesco propizia, nel 2014, la svolta che sana una lontana, brutta, ferita della "guerra fredda", facendo parlare di nuovo gli Usa con Cuba e ponendo le basi per il superamento di un regime che si va ammorbidendo, ma è ancora chiuso in schemi e dogmi di una dottrina che ha perso ogni sfida in Europa e nel mondo. Come successore di Pietro, Francesco è presente ovunque c’è sofferenza, parla e agisce in tutta la sequenza di sciagure che ha puntellato l’anno che si va esaurendo, chiama ogni cosa con il suo vero nome. Nel discorso al corpo diplomatico del gennaio 2014 individua i mali che affliggono il mondo, le guerre continue, le persecuzioni senza precedenti che colpiscono cristiani e altri credenti in Asia e Africa, il fondamentalismo che usa con frode la religione per diffondere terrore e schiavitù, conquista spazi crescenti in Medio Oriente e nelle terre povere dell’Africa.

Prega ripetutamente per i martiri, perseguitati, cristiani e non, per i bambini e le donne oltraggiate fino alla morte: chiede agli Stati e all’Onu di intervenire, dialogare, accordarsi per fermare le stragi, garantire quella libertà religiosa che viene violata continuamente e sempre più gravemente; fa incontrare cristiani, ebrei e musulmani in Vaticano per attingere alle radici delle rispettive fedi i motivi della pace e della fratellanza, richiama i cristiani perché al Natale si dia il valore religioso autentico, in un’epoca di sofferenza per troppe vittime innocenti. Probabilmente nel silenzio degli Stati, delle istituzioni internazionali, la voce del Papa è quella che più si è sentita per indicare le malattie del mondo, suggerire le soluzioni più adatte. Ma gli altri continuano spesso a tacere, lasciano scorrere il tempo, non prestano soccorso a chi ne ha più bisogno. Un’Europa fiaccata, economicamente e moralmente, da una crisi di sistema che ne ha frenato lo sviluppo storico, si fa riconoscere per i suoi silenzi, la mancanza di iniziative, mentre l’Onu vive come in un letargo innaturale per le funzioni strategiche che dovrebbe assolvere. È azzardato pensare che tra i tanti G8, G10, G20, che si riuniscono periodicamente se ne possa dedicare uno ai temi della pace e della libertà religiosa, oggi così interdipendenti, e oltraggiati in decine di Paesi? È azzardato sperare che grandi e medie potenze, e l’Onu, riacquisiscano lungimiranza e capacità di analisi, definiscano un’agenda che ponga all’ordine del giorno le sofferenze e le brutalità provocate in tante zone del pianeta impegnandosi a fare tutto ciò che è necessario per avviare una svolta storica attesa ovunque? Questo è il messaggio di papa Francesco, che ha messo il suo pontificato a servizio degli uomini, per portare pace senza chiedere nulla in cambio, proporre il dialogo come strumento d’incontro, curare e ricostruire un mondo che ha perso i sentieri della pace e libertà religiosa, fermare le violazioni della dignità umana e dei diritti fondamentali che sono stati proclamati solennemente nei decenni scorsi.

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