giovedì 10 maggio 2012
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Una grigia cappa d’inquietudine pesa sull’economia del Vecchio continente, dopo i risultati delle elezioni di domenica. Ingovernabilità della Grecia con la minaccia sempre più concreta di un abbandono dell’euro per un ritorno alla dracma; incertezza sul comportamento di una Francia dove l’uscita di scena di Sarkozy e l’arrivo all’Eliseo del socialista Hollande (coi determinanti voti di una <+corsivo>gauche<+tondo> tentata dall’antieuropeismo), moltiplica gli interrogativi sulle possibili conseguenze di un acuirsi delle divergenze fra Berlino e Parigi. Pulsioni solidaristiche sulla Senna, avvisaglie di irrigidimento della cancelliera Angela Merkel che ha nel rigore la sua bandiera. Le ricadute sui mercati sono state immediate: generalizzate flessioni delle Borse che scontano il perdurare di un ciclo negativo, almeno sino a fine 2012; impennata dei tassi d’interesse sui titoli pubblici dei Paesi deboli (Spagna e Italia in primis), facendo risalire lo spread, la differenza con quelli tedeschi, oltre la soglia d’allarme di 400 punti. Tradotto in soldoni: per collocare obbligazioni, lo Stato italiano deve pagare il 4% in più della Germania. Per un quadro completo dello scenario, è indispensabile però registrare una questione di fondo. Strategica. La Germania aveva imposto per il risanamento dei conti pubblici ovunque dissestati ricette di estremo rigore. Austerità, con drastica riduzione della spesa pubblica, di salari e consumi. Il governo Monti aveva appoggiato tale linea, premendo sulla leva fiscale (imposte e tasse), rinviando a una seconda fase il taglio delle spese. Il successo di Hollande in Francia ha sparigliato le carte, ponendo in cima al programma elettorale (e ora, di governo), la «ripresa». Con modalità imprecisate, ma che potenzialmente includono aumenti salariali e stretto controllo su banche e finanza. Il ricordo va al presidente Mitterrand che nella primavera 1981 nazionalizzò banche e industrie, seppur con successivo e tardivo ripensamento. Riusciranno Hollande-Merkel a trovare un’intesa e in quale ottica agirà il nostro Monti? Pur con la flemmatica nobilità di tratto e pensiero che lo contraddistingue, intelligente e acutissimo, non potrà sottovalutare il disagio manifestatosi nella tornata amministrativa pur limitata, ha fatto emergere nuovi contestatori-protagonisti antisistema. Come ad Atene, dove un’intera casta politica, sia di centrodestra che socialista, in apparenza immarcescibile, è stata spazzata via, spalancando le porte al caos. Abbandonasse l’euro, saremmo in grado di tamponare la defezione evitando contagi? Nonostante la gravità del quadro clinico di Eurolandia (in ambienti parigini vi è chi sostiene la tesi di una Germania che accarezza lo schema di euro a due velocità, creando un barrage fra i rari «buoni» e i tanti dissipatori), esistono motivi di speranza. Cui rivolgersi, pur senza la pretesa di appendere dietro al chiodo gli errori, scaricandoli sui primi della classe. I tedeschi, appunto.Con intelligente coraggio, il finlandese Olli Rehn, vice-commissario europeo agli Affari economici e monetari, ha lanciato una proposta concreta (finalmente!) per superare l’impasse: il rilancio su scala continentale dei project-bond. Traduzione: prestiti per un progetto di colossali opere pubbliche, chiamando a contribuire Enti statali e privati. È lo schema che elaborò nel 1930-33 il sommo economista inglese John M. Keynes, sottoponendolo sia al presidente Roosevelt (e fu il New Deal), che ai governi europei che presero però un’altra strada: le dittature. Con quel che ne seguì. La Storia mai si ripete pedissequamente. Eppure taluni populismi greco-italici emergenti mostrano in controluce risvolti inquietanti. A esorcizzare i pericoli che sarebbe politicamente delittuoso fingere di non vedere, urge un colpo di reni solidaristico. Abbiamo sbagliato, dissipato, commesso errori che gridano vendetta, genuflessi innanzi agli idoli del consumismo pubblico e privato. Tuttavia, possiamo ancora (pentendoci), risalire la china. Banchieri ed economisti sono incerti nel precisare chi farà da sponsor-garante ai per ora immaginari project-bond o Eurobond. Par comunque di percepire che, concepiti in clima d’emergenza, possono rappresentare l’ultima e solidale zattera di salvataggio per un Continente sì vecchio, ma non rassegnato al declino.
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