domenica 15 novembre 2015
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Caro direttore,  a distanza di 10 mesi Parigi torna ad essere attaccata dal terrorismo targato Is. Parlo consapevolmente di un attacco perché a Parigi è avvenuta un’azione di guerra urbana contro la popolazione, con uno strascico enorme di morte che solo in combattimenti bellici si registra. Non ci siamo abituati. E il nostro terrore, la nostra paura crescono perché non siamo capaci di immaginare che la nostra vita, il nostro quotidiano, possa cambiare radicalmente, portandoci a considerare di adottare soluzioni eccezionali per vincere il ' nemico '. Come in guerra, appunto… Non serve esplorare le motivazioni pseudopolitico-religiose dell’attacco per capire quanto sia inaccettabile il sacrificio di oltre cento uomini e donne francesi, massacrati a freddo, mentre impotenti imploravano la grazia chiedendo con la voce o col solo sguardo: «Perché?». Ma la ferocia di questi attacchi non è colpa delle discriminazioni socioreligiose. Le responsabilità sono più ampie e complesse: battaglie storiche ed economiche; disparità che alimentano disperazione; folle fondamentalismo religioso, che lucra sulla rabbia e sulla frustrazione. Il presidente francese Hollande ha decretato lo stato d’emergenza con la chiusura delle frontiere e misure di controllo eccezionali: i prefetti potranno dichiarare il coprifuoco. E anche in Italia è cresciuta la preoccupazione in vista dell’Anno Santo. Ma forse bisognerà investire di più sulla sicurezza, perché le risorse attuali sono considerate da molti analisti insufficienti. Sul piano del diritto, l’Italia si è sempre mossa con coerenza e tempestività. Col decreto Antiterrorismo del 2014, il nostro Paese ha introdotto misure preziose, come la creazione di un Ufficio unico di coordinamento fra i magistrati anti terrorismo e l’introduzione di reati che hanno anticipato la soglia della punibilità (oggi organizzare un viaggio per raggiungere territori di guerra siriana può portare al carcere, pur in assenza di altra condotta materiale). Basterà? Fra la fine degli anni Novanta e metà degli anni Duemila, nella mia esperienza di magistrato presso la Procura di Milano, mi sono occupato di terrorismo internazionale. Prima dell’attacco alle Torri, era ritenuto una minaccia come altre. Ma nel corso degli anni, la sua evoluzione ha mostrato il volto mutevole e feroce di una minaccia portata non solo da gruppi, ma anche da 'lupi solitari', capaci di auto-radicalizzarsi, auto-addestrarsi da soli e agire da soli o in piccoli gruppi. Ora le stragi di Parigi danno conto di una nuova metamorfosi, sanguinaria e imprevedibile. Non solo: le capacità di comunicare sui social network rendono il sedicente Stato islamico ancor più temibile, sia nell’ottica di reclutare nuovi foreign fighters per la Siria e l’Iraq, sia nel rendere senza confini la diffusione del 'terrore'. Le raccapriccianti immagini di decapitazioni e violenze d’ogni sorta, incluse quelle contro il patrimonio artistico e culturale dell’umanità, erano già funzionali ad azzerare le distanze e farci percepire tali atrocità come un qualcosa che accade accanto a noi o che potrebbe succedere da un momento all’altro (si pensi ai continui richiami a una 'invasione di Roma' presenti nella messaggistica dell’Is). A ciò si aggiungono ora le tremende scene dell’attacco a Parigi, di una guerra portata nelle strade europee, sotto casa nostra, che comunica folle ferocia e cieca determinazione. Come si può fermare tanta brutalità? Immagino che ora si alzeranno di nuovo voci d’ogni tipo a invocare restrizioni e controlli ferrei, a discapito forse di qualcuna delle libertà individuali. Proprio ora che, grazie a certe rivelazioni sugli eccessi derivanti da politiche eccezionali come il Patriot Act del 2001, le autorità dei Paesi Occidentali erano finalmente divenute più attente nei confronti del rispetto dei diritti umani e, in particolare, della privacy dei propri cittadini, come dimostrato dall’adozione del nuovo Freedom Act, emanato dal presidente Usa Barack Obama. In nazioni democratiche, difendersi dal terrorismo è un dovere e una necessità, ma occorre farlo usando al meglio le armi dell’investigazione, della prevenzione e della repressione giudiziaria. Una minaccia che diviene – è questo il messaggio più inquietante dei fatti di Parigi – sempre più imprevedibile e punta a infondere un costante sentimento di insicurezza nei nostri confini. A mio parere, l’equilibrio tra il contrasto al terrorismo e la tutela dei diritti umani deve permanere sempre, quale criterio cardine verso il quale far tendere i nostri sforzi. Se così non fosse, allora sì che i terroristi avrebbero vinto, facendo tornare indietro le nostre società. Ma dopo Parigi, l’attentato all’aereo del Sinai e l’attacco a Beirut nel giro di un solo mese, fatti che hanno evocato l’immagine di una guerra globalizzata e spietata, cè pure chi si domanda se sia giusto continuare in questa direzione. *parlamentare di Scelta civica, già magistrato anti terrorismo
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