venerdì 21 febbraio 2014
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Caro direttore,
vorrei rivolgere un appello al premier incaricato Renzi, che certo saprà che il suo nome – Matteo – significa “dono di Dio”. Un dono per la sua famiglia. Che può essere un dono per l’Italia. Ma siccome, dicono i suoi detrattori, è «frenetico e un po’ volubile», vorrei suggerirgli di frenare la lingua e di rinforzare l’empatia verso la patria e verso gli ultimi. Così ce la farà. Siamo un popolo meticcio e turbolento, specie noi “terroni”, ma siamo meravigliosi per creatività, tenacia, generosità. Scelga una bella squadra di persone che vogliono il bene comune. Lui così giovane ci adotti tutti, anche i pensionati, ma adotti specialmente i suoi coetanei con famiglia e senza lavoro, gli artigiani in estinzione, i piccoli imprenditori che stanno chiudendo. E adotti lo stile di vita e l’approccio agli altri di quell’oriundo latinoamericano che è oggi Vescovo di Roma, di colui che ci sta rieducando tutti alla sobrietà e alla parresia (la franchezza che ci salva l’anima) all’umiltà e alla misericordia (la saggezza che salva il mondo) al linguaggio garbato e attento della pazienza e del rispetto. L’emulazione dei veri grandi ci fa crescere in efficacia ed efficienza. I presunti “grandi uomini” e le “prime donne” che affollano il Parlamento starnazzando hanno bisogno di aria nuova: escano tra la gente. Se lui, il presidente del Consiglio, darà l’esempio, il buon senso prevarrà. Dobbiamo, tutti insieme, raddrizzare la “Concordia” , la nave Italia che troppi cercano di affondare. Vorrei regalargli un motto che è ispirato al Vangelo del suo omonimo (cfr. Matteo 18,3) e che è un programma di vita e di governo: «La più grande maturità coincide con l’innocenza». È stato apprezzato, a suo tempo, da uomini saggi che l’hanno posto a suggello di un coinvolgente “Manifesto per la Pace” che nel 1988 venne letto per la prima volta a un grande convegno di uomini e donne di scienza. A questa saggezza evangelica si è ispirato, concretamente, un grande sindaco di Firenze e un vero uomo di pace: Giorgio La Pira. Coraggio, abbiamo sprecato decenni in ridicole e sterili polemiche, ripariamo la casa del futuro, l’Italia in apnea chiede di respirare! Dobbiamo saper uscire da una vera “guerra” (economica, politica, socioculturale). Dobbiamo metterci alle spalle una lunga e rischiosa crisi civile.
Vincenzo Pucci, Marina di Tórtora(Cs)
Condivido molta parte del suo appello, gentile e caro amico. Mi piace lo slancio – davvero «innocente» – con cui lo propone. Mi piacciono i modelli che suggerisce. Penso ovviamente che il presidente incaricato Renzi non possa che essere se stesso, ma lei ha ragione a chiedergli, in sostanza, la pazienza e il coraggio di “assomigliare” non solo ai veri grandi, ma in qualche maniera anche a “noi”, cioè alla parte più sincera e impegnativa delle attese e delle speranze degli italiani, alla forza buona di chi non si rassegna e sa vedere lontano, pensando ai figli e ai nipoti. Ci serve come il pane di tornare a credere che la politica non è solo cinico calcolo e gioco di prestigio, ma vicenda “alta” che cresce e si rinnova grazie all’ascolto di chi sta “in basso”. Abbiamo voglia di veder uscire, una buona volta, dalle stanze chiuse di un potere lontano tutti “loro”: quelli che ancora per un po’ (quanto a lungo lo capiremo – credo – abbastanza presto) sono tenuti a rappresentarci e a governarci. Ma anche e soprattutto abbiamo voglia di uscire “noi”, tutti insieme, da una lunga e desertificante “grande guerra”, quella che si è soliti chiamare “crisi”, quella che sulle nostre pagine, in questi anni, non ci siamo stancati di indagare e di raccontare come un conflitto condotto da potenti che non rispondono né a parlamenti né a leggi morali, e che ha un «cuore antropologico» che non si può ignorare, proprio come ci invitava a fare Benedetto XVI, proprio come continua a indicarci, con coinvolgente e incalzante parola, papa Francesco. È un guerra strana, ma come ogni guerra è stata decisa da pochi e viene subita, ogni giorno di più, da tantissimi. Affama persino a morte, distrugge il lavoro e la speranza, fa strage di dignità. Esattamente come la furiosa cattiva politica, quella che negli ultimi decenni ha reso più sfiduciato, triste ed egoista anche il nostro popolo, che resta però capace di generosità, di solidarietà e – nonostante continui e disorientanti bombardamenti mediatici – ancora sa che cosa è giusto e che cosa è sbagliato. Un popolo che merita, appunto, un governo che “assomigli” alla parte migliore di sé. Un governo che a quest’Italia capace di credere e di sostenere, di progettare e di fare ridia finalmente piena e onorata cittadinanza. Ma proprio adesso?, dirà qualcuno. Proprio in questa fase così difficile e d’emergenza? Sì, adesso. La scelta di archiviare il «governo di servizio» di Enrico Letta, l’entrata in scena del segretario del Pd – cioè della più grande forza parlamentare – fa comunque aumentare il tasso politico e i doveri del prossimo esecutivo. Così come, se possibile, accresce la responsabilità di chi lo guida. Matteo Renzi, del resto, caro signor Pucci, non se lo è (e non ce lo ha) affatto nascosto.
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