lunedì 19 giugno 2023
Nella nebbia l'avanzata di Kiev, che non ha ancora messo in campo il grosso delle sue truppe. Prove della responsabilità di Mosca nella distruzione della grande diga. Pechino promette di non dare armi
Il presidente russo, Vladimir Putin

Il presidente russo, Vladimir Putin

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La guerra in Ucraina è giunta al suo 481° giorno. E continua a essere “oscurata” la controffensiva di Kiev nelle sue dimensioni reali. L’esercito del Paese aggredito avrebbe riconquistato 113 chilometri quadrati di territorio, compreso, da ultimo, il villaggio di Pyatykhatky sul fronte meridionale nella regione di Kharkiv, secondo quanto dichiarato dalla viceministra della Difesa, Ganna Maliar, incaricata in questa fase di rilasciare dichiarazioni sulle operazioni militari.

Una mappa dell'Ucraina, in rosso la zona coinvolta dai combattimenti

Una mappa dell'Ucraina, in rosso la zona coinvolta dai combattimenti - Google maps

Vladimir Rogov, funzionario russo nei territori occupati dell'Oblast di Zaporizhzhia, ha dichiarato in un post su Telegram che se le forze ucraine riusciranno a portare le proprie riserve a Piatykhatky, appena ripresa, probabilmente si spingeranno più a ovest lungo la strada Т0812 - per catturare il vicino villaggio di Zherebianky. E l'eventuale successo a Zherebianky permetterebbe all'Ucraina di ottenere la base per un'offensiva su Vasylivka, in cui le forze russe erano entrate nel marzo dell’anno scorso dopo poco l’avvio delle ostilità.

Il rapporto dell'amministrazione russa di occupazione sull’avanzata ucraina nel sud-est del Paese arriva a circa due settimane dall'inizio della controffensiva, che ha preso il via nell'Oblast di Zaporizhzhia e nella parte meridionale dell'Oblast di Donetsk all'inizio di giugno. Senza nominare gli insediamenti, l'Institute for the Study of War (ISW), think tank con sede a Washington, ha confermato nel suo rapporto del 17 giugno che le truppe di Kiev stanno conducendo operazioni a sud-ovest di Orikhiv, nell'Oblast di Zaporizhzhia occidentale.

Il tutto sembra finalizzato, come scrive Nello Scavo su “Avvenire”, ad avvicinarsi il più possibile al Mare d’Azov per raggiungere una distanza inferiore ai 100 chilometri dalle linee russe più meridionali, in modo da poterle colpire con i lanciatori Usa Himars, che tanto si sono rivelati efficaci in questi mesi di combattimenti. Il piano più ambizioso sarebbe quello di tagliare i collegamenti diretti tra le aree prese dai russi e la Crimea.

Resta il fatto che sull’entità delle forze impiegate da Kiev e sui risultati che esse stanno raggiungendo nel superare le linee fortificate russe nonché sulle perdite di uomini e mezzi da entrambi le parti è calata una nebbia di guerra che rende difficile dare una valutazione della controffensiva in corso. La propaganda russa che parla di massacri di soldati ucraini non è certamente affidabile. Tuttavia, la cautela delle fonti Nato, dopo i forti investimenti in forniture militari per l’avvio dell’azione di riconquista, dice che lo sfondamento ancora non c’è stato. Questo non deve essere comunque preso come prova del fallimento. È probabile che il grosso delle forze non sia stato ancora messo in campo e che l’azione sarà diluita più di quanto si fosse ipotizzato qualche tempo fa.

Intanto, si fa sempre più strada la convinzione che il cedimento, lo scorso 6 giugno, della grande diga idroelettrica di Kakhovka, nella parte meridionale del Paese, sia stato provocato dai russi. Lo conferma un’inchiesta condotta dal “New York Times”. Mosca e Kiev si sono accusate a vicenda del crollo, ma le prove raccolte suggeriscono che la diga è stata colpita da un'esplosione provocata da chi che la controllava. La struttura era visibilmente segnata dai combattimenti dei mesi precedenti e la Federazione ha sfruttato questa ipotesi per negare inizialmente ogni responsabilità.

Secondo gli esperti, però, considerati i rilevamenti satellitari e sismici, la causa più probabile del crollo è una carica esplosiva piazzata nel corridoio di manutenzione che attraversa la diga. Poiché essa è stata costruita in epoca sovietica, Mosca aveva tutte le informazioni tecniche per sapere i punti da minare in modo da provocare il disastro. Inoltre, secondo altre fonti, dopo l'esplosione a Kakhovka, i russi nei territori occupati non avrebbero evacuato le persone prive di passaporto russo. Per questo motivo, più di 500 residenti di Oleshok, nella regione meridionale di Kherson, sulla riva sinistra del fiume Dnepr, potrebbero essere morti, secondo RBC-Ucraina che cita il Centro di resistenza nazionale. Dati ufficiali riportano invece una cinquantina fra vittime e dispersi segnalati finora.

La distruzione della diga ha messo in pericolo anche la principale fonte di acqua per il raffreddamento della vicina centrale nucleare di Zaporizhzhia. Un alto funzionario delle Nazioni Unite ha dichiarato che alla centrale sono rimasti solo "pochi mesi" di acqua e che le autorità hanno iniziato a prendere provvedimenti per rifornirla. Infine, riporta il “Kyiv Independent”, sessantacinque ettari della foresta di Snihurivka, nel sud dell'Oblast di Mykolaiv - un'area grande all'incirca come 93 campi da calcio - sono ancora allagati e il livello del fiume Inhulets, nella parte occidentale dell'Oblast di Kherson, è ancora superiore di due metri rispetto al livello precedente all'alluvione innescata dalla rottura dell’invaso di Kakhovka.

Sul fronte diplomatico, molto significativi i colloqui in Cina fra il segretario di Stato americano Blinken e il presidente Xi Jinping, dai quali sarebbe emerso l’impegno di Pechino di non vendere armi alla Russia. Difficile per adesso capire se nella partita complessiva fra le due superpotenze vi sia un margine per un’azione moderatrice dell’Impero di mezzo nel conflitto europeo che coinvolge l’alleato russo. Tuttavia, l’inteso lavorio che da più parti – compresi alcuni Paesi africani – si va svolgendo in queste settimane potrebbe aprire qualche spiraglio verso una trattativa. I segnali lanciati da Putin, come sempre, sono contraddittori. Dipenderà anche dall’andamento degli scontri sul campo di battaglia. E i tentativi per il negoziato potrebbero presto saldarsi alla necessità delle due parti di avere una tregua dall’immane sforzo bellico che li sta dissanguando.

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