venerdì 1 aprile 2022
L'attacco sul suolo di Mosca segnala la vitalità della resistenza. Le voci sulla salute di Putin e la strategia ondivaga sul terreno e in tema di forniture di gas complicano il lavoro della diplomazia
Guerra giorno 37: il raid di Kiev in Russia e i misteri custoditi al Cremlino
COMMENTA E CONDIVIDI

L'alba del 37° giorno di guerra ha consegnato una novità dal terreno che potrebbe avere un certo peso nello sviluppo della crisi, almeno sul piano militare. A Belgorod, nel Nord della Russia, a 40 chilometri dal confine ucraino, non molto più lontano dalla costantemente bombardata Kharkiv, un vasto deposito di petrolio della società Rosneft è stato colpito da missili e mandato in fiamme. Un'azione più spettacolare che sostanziale, ma che riveste un notevole valore simbolico.

Sebbene Kiev abbia smentito che siano stati due suoi elicotteri MI-24 a colpire i serbatoi (senza fare vittime), si tratta della prima azione bellica sul suolo russo. E un'azione che ha beffato la difesa aerea di Mosca, dimostrando che l'aviazione ucraina è ancora attiva e capace di sortite oltre confine. Non bisogna ovviamente sopravvalutare il significato del raid, dato che il raggio d'azione degli elicotteri è limitato. Tuttavia, lo smacco per il Cremlino è forte e il sostegno al morale della resistenza guidata da Zelensky ancora maggiore. La reazione è stata quella di minacciare pesanti conseguenze sui negoziati tra le parti, e ciò potrebbe spiegare perché l'Ucraina non si è attribuita la paternità dell'attacco, che comunque ha ancora degli aspetti da chiarire.

La prova di forza non ha comunque mutato il copione della giornata, caratterizzata ancora dall'assedio di Mariupol, da dove i civili non riescono a scappare, malgrado le ripetute promesse degli assedianti. Il bilancio delle vittime, secondo le autorità cittadine, è spaventoso: 5mila gli uccisi finora. Se anche la cifra non ha conferme indipendenti, il tributo di vite della città martire è sicuramente altissimo. Altri obiettivi non militari sono stati bersagliati proprio a Kharkiv, dove sarebbe stata distrutta un'università, e a Chernihiv, dove un razzo ha centrato un reparto oncologico dell'ospedale. Ma anche attorno a Kiev sembrano ripresi gli scontri. Gli annunci ripetuti di Mosca vengono quindi disattesi con una certa regolarità.

La strategia di Putin non è chiara nemmeno sul gas. Per il pagamento in rubli è proseguita la serie di ammonimenti, precisazioni e sostanziale continuità degli approvvigionamenti. Una condotta, la Yamal-Europe, ha avuto una breve interruzione di fornitura, forse dovuta soltanto a un inconveniente tecnico. Per ora dunque l'obbligo di versare rubli per ottenere energia fatto balenare ai Paesi cosiddetti ostili a Mosca non si è concretizzato. Come già è stato detto, l'arma dell'energia è spuntata in partenza, perché la Russia non può fare a meno delle entrate dall'Europa che il gas garantisce, soprattutto in un momento come questo, e non avrebbe alternative di vendita a breve termine, né possibilità di stoccare la produzione in eccesso: dovrebbe semplicemente chiudere i pozzi. Paradossalmente, sarebbe la Ue, se fosse compatta e disposta a sopportare gli inevitabili costi e sacrifici, a poter usare i contratti energetici come strumento di pressione sul Cremlino, per forzarlo a trattare un cessate il fuoco.

Nel giorno in cui è stata diffusa l'inchiesta giornalistica di una testata russa messa al bando, secondo cui lo Zar soffrirebbe di una malattia tumorale (circostanza subito smentita dal portavoce), la diplomazia cerca di muovere le acque, senza risultati apparenti. Il leader turco Erdogan sollecita il faccia a faccia Putin-Zelensky, che potrebbe dare una svolta al negoziato. I tempi però non sembrano maturi, come aveva riferito il premier Draghi dopo il suo colloquio con il capo del Cremlino. Su un altro versante, l'incontro tra Europa e Cina si è chiuso con accorati reciproci inviti perché sia Pechino sia Bruxelles promuovano il dialogo e gli sforzi di pace. Quanto Xi Jinping sia disposto a dare seguito agli auspici è tutto da verificare.

Da salutare per il coraggio è stata infine l'iniziativa della presidente del Parlamento europeo Roberta Metsola, che è andata a Kiev e si è rivolta di persona al Parlamento ucraino riunito per l'occasione. Un segno di vicinanza e solidarietà al Paese sotto attacco e di determinazione dell'Unione Europea, dopo che tre premier avevano raggiunto la capitale sotto le bombe nelle prime settimane di guerra. A proposito della visita di Metsola è da ricordare che il suo predecessore David Sassoli era stato dichiarato "persona non grata" dalla Russia ben prima del conflitto, nell'aprile dell'anno scorso. I segni dell'allontanamento dell'autocrazia di Putin dalla democrazia europea erano ben visibili già allora per chiunque li avesse voluti osservare.


© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: