sabato 4 giugno 2022
A Severodonetsk avanzata forse decisiva delle truppe di Mosca, poi il ritorno dei difensori. La Francia: non umiliare Putin. Dura replica del ministro Kuleba: il Cremlino va fermato, si umilia da solo
Guerra giorno 101: attacchi e contrattacchi. Kiev contro la linea di Macron
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La guerra in Ucraina è arrivata al 101° giorno. Passati i bilanci dei primi cento tragici giorni, si ritorna a un bollettino quotidiano fatto di annunci di avanzate e di vittorie sul campo, con toni enfatici e propagandistici su entrambi i fronti. Nel Donbass, gli scontri continuano durissimi. Secondo il capo del Centro nazionale di controllo della Difesa della Federazione russa, Mikhail Mizintsev, l'esercito di Kiev, dopo aver perso fino al 90% delle proprie forze dispiegate nella zona, si sta ritirando da Severodonetsk in direzione di Lysychansk. Secondo il ministero di Mosca, ecco la propaganda, le forze ucraine stanno pianificando di trafugare dall'impianto Azot della città contesa sostanze chimiche tossiche da far esplodere per ritardare l'avanzata nemica, per poi accusare il Cremlino "di aver provocato una catastrofe ambientale".

Ha risposto a stretto giro la presidenza di Kiev: le nostre forze armate hanno riconquistato parte del territorio prima guadagnato dagli assalitori e su un altro fronte hanno distrutto quasi interamente la 35ª armata russa a Izyum, nella regione nord-orientale di Kharkiv.

Kiev ha anche annunciato la morte di quattro combattenti volontari stranieri, inquadrati nella Legione internazionale di difesa. I quattro soldati provenivano da Germania, Paesi Bassi, Australia e Francia. Nulla è detto sull’identità e le circostanze. Non si sa quanti siano gli ex militari occidentali impegnati sul campo a fianco dell’esercito di Kiev. Circola una battuta in Ucraina, non si sa quanto rispondente al vero, secondo cui i dubbi sulla capacità di utilizzo di nuove armi fornite da Stati Uniti ed Europa sono del tutto fuori luogo a fronte della presenza di tanti stranieri combattenti che hanno esperienza negli eserciti dei Paesi fornitori.​

Mentre si combatte, la diplomazia non fa purtroppo passi avanti. Il capo negoziatore ucraino e consigliere del presidente, Mykhailo Podolyak, ha affermato che "non ha senso" negoziare con la Russia, sino al momento in cui le sue truppe non saranno respinte il più possibile verso il confine. "Finché non riceviamo la piena fornitura di armi, finché non rafforziamo le nostre posizioni e respingiamo le forze di Mosca il più lontano possibile, non ha senso intavolare negoziati".

E il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha risposto seccamente al presidente francese Emmanuel Macron che aveva fatto appello “a evitare l'umiliazione della Russia”. Tali appelli, ha detto, “possono solo umiliare la Francia e ogni altro Paese che lo richieda. Mosca si umilia da sola. Sarebbe meglio che tutti ci concentrassimo su come rimettere il Cremlino al suo posto. Questo porterebbe pace e salverebbe vite".

Intanto emergono altri spaventosi bilanci dell’attacco russo. Il capo della Procura regionale di Kiev, Khomenko Oleksii, ha riferito all’agenzia Adnkronos come gli occupanti colpissero “intenzionalmente le case dei civili. A causa degli attacchi d'artiglieria sono stati danneggiati e distrutti nella nostra regione oltre 1.000 case, 92 istituzioni scolastiche, 13 ospedali, cinque edifici culturali e otto religiosi". Inoltre, sono finiti sotto il fuoco "decine di edifici amministrativi, magazzini, tra cui quelli con prodotti alimentari, gli impianti sportivi e le infrastrutture di trasporto, tutto in violazione delle norme del diritto internazionale umanitario”. Senza, ovviamente, contare le vittime civili.

In queste ore un sorriso e una distrazione per gli ucraini arriva dal calcio. La nazionale domenica pomeriggio gioca contro il Galles la partita che le può dare un posto ai Mondiali in Qatar di dicembre, dopo la vittoria sulla Scozia nella prima partita di spareggio. Un match che assume una valenza anche politico-mediatica per la causa del Paese invaso e ferito dalla guerra. Lo sa bene il commissario tecnico Oleksandr Petrakov che, dopo il 24 febbraio, voleva lasciare la squadra e arruolarsi "pronto a morire per il l'Ucraina”. Alla fine si è convinto che doveva rimanere al proprio posto, così come i calciatori, perché i risultati sul campo di gioco possono servire alla causa e avere un valore che sorpassa quello sportivo.

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