Sono evidenti i segnali che ci inducono a credere che il destino del secolo che stiamo vivendo dipenderà dal ruolo che sapremo riservare all’educazione, di cui oggi celebriamo la sesta Giornata internazionale. Può rappresentare il motore propulsivo per l’elaborazione di seri percorsi di pace, per la riduzione delle diseguaglianze tra le diverse regioni del pianeta e per la formazione di donne e uomini orientati al perseguimento del bene comune. Un paese che investe in sistemi educativi di qualità, capaci di assicurare un accesso equo a prescindere dalla condizione sociale ed economica, dispone di un potente strumento per combattere fragilità e povertà, promuovendo il diritto di cittadinanza, la libertà e lo sviluppo integrale.
La realtà spesso ci racconta però in maniera chiara le criticità del sistema educativo, dalla non scolarizzazione alla persistenza intergenerazionale delle disuguaglianze fino alla dispersione scolastica. A livello globale, infatti, a causa delle guerre, delle migrazioni e delle povertà, circa 250 milioni di bambini e giovani non hanno accesso all’istruzione.
E sono proprio le bambine e le giovani a essere le più penalizzate. Ancora, le condizioni familiari di partenza influenzano i risultati scolastici: il 30% degli adulti i cui genitori non hanno raggiunto il grado di istruzione secondario persiste nel non conseguire questo stesso livello. Senza dimenticare che nel nostro paese il tasso di abbandono scolastico per i giovani non italiani è, a fronte di una media nazionale del 13,1%, pari al 35,4%, il valore più alto in Europa. Tutti sintomi di un’emergenza, se non di una vera e propria «catastrofe educativa», come ha denunciato Papa Francesco. Una situazione davanti alla quale le classi dirigenti, le istituzioni educative e le università non possono rimanere indifferenti.
Ciò impone allora di far sì che l’educazione diventi una delle priorità dell’agenda politica e sociale, inserendola nella definizione dei processi decisionali. In altri termini, occorre enfatizzare il suo reale potere trasformativo. Per usare una formula sintetica e sufficientemente evocativa, propongo di indicare questo auspicio con l’espressione education power. Perché è il potere dell’educazione che può cambiare davvero il mondo. Non si tratta di una nuova etichetta, buona per qualsiasi iniziativa, piuttosto di una filosofia di azione che si fonda su principi e valori solidi, come la solidarietà, l’inclusione, la sussidiarietà. E che può essere declinata seguendo percorsi differenti, mirati alla dimensione interna e a quella internazionale. Una prospettiva che per essere efficace richiede l’impegno di persone, istituzioni e associazioni in una logica di alleanze strategiche per una cooperazione creativa. Per questo il tema dell’educazione non deve rimanere relegato dentro i confini delle istituzioni direttamente preposte alla formazione, come purtroppo è accaduto talvolta nel passato. Deve essere fatto proprio invece anche da tutti coloro che sentono come urgente la constatazione indicata in apertura.
In questo quadro, le università possono e devono assumere un ruolo di primo piano, perché l’education power è la chiave per far convergere le tre missioni nelle quali sono impegnate: la didattica, la ricerca e la disseminazione pubblica. Le progettualità che possono nascere dall’education power rappresentano un segno concreto di speranza, di particolare significato in questa giornata dedicata all’educazione e ancor più in questo anno giubilare in cui, senza indugio, siamo chiamati a fare la nostra parte per una società più inclusiva, più equa, più giusta.
Rettore dell’Università Cattolicadel Sacro Cuore